Immaginate: una domenica dolce di primo autunno, al mezzogiorno, il cielo instabile che regala squarci di sole oscurati d’improvviso da nubi pesanti, una brezza sottile che lascia presagire minacce di vento, in uno spiazzo da dove si diparte un sentiero verso il monte grigio e azzurro, davanti all’abisso di una vallata. Una chiesetta semplice, costruita su un basamento, la cui bianca facciata s’illumina e s’oscura a seconda degli scherzi della luce. Un silenzio inaudito avvolge il paesaggio, quasi il mondo si fosse fermato: qui si respira ancora, tra le pietre argentee, i rovi, il sentiero sterrato, un antico sentimento di solitudine e separatezza. La chiesa ha il portone spalancato, invita ad entrare, pareti spoglie nel loro lucore. Sull’unica navata, a destra, una tomba imponente di granito nero con il nome a rilievo, dorato: Grazia Deledda. Non una data, non un fiore, solo la malinconia immobile e discreta di un monumento funebre. A poche centinaia di metri, la casa natale della scrittrice, la prima e sinora unica donna italiana ad aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura. Una casa dall’entrata discreta e mal segnalata, divenuta un museo i cui ambienti sono arredati secondo le pagine di Cosima, il romanzo incompiuto e testamento sentimentale della prolifica scrittrice sarda. Il museo brilla per lo scrupolo documentario e vi si può anche contemplare lo studiolo romano della scrittrice: la stanza del poeta, dunque, che ricorda altre analoghe stanze dove pare inestinguibile l’eco delle parole scritte. Difficile, anche a spiriti poco avvezzi alla poesia, sfuggire alla suggestione: siamo a Nuoro, il cuore della Barbagia, il ‘nido dei corvi’ di Salvatore Satta. Il nome Deledda pare risuonare dalle pietre di Pinuccio Sciola, sullo slargo davanti al museo. Difficile dire, tra i visitatori, quanti abbiano letto anche un solo rigo della Deledda (di cui ora è in lavorazione l’edizione nazionale delle opere), quanti Cosima o La chiesa della solitudine, quanti conoscano, oltre al titolo, almeno Canne al vento (che non è ambientato a Nuoro, ma nella non vicinissima Galtellì). Ma, per la costruzione di un mito, questa domanda è irrilevante. Il mito, si sa, è una figura dell’immaginario, e il mito della Deledda non rifugge a questa definizione, in una terra dove molto è affidato all’immaginazione e ai segreti rapporti tra la montagna, il mare, il vento, le pietre dei Nuraghi imponenti, le tombe dei giganti, gli immensi occhi dei guerrieri di Mont’e Prama spalancati verso l’infinito.
La poesia è realtà, e la realtà di Nuoro l’han fatta i suoi poeti, bastino i nomi di Salvatore Satta e Marcello Fois, autore di Quasi Grazia. Scrittore di fama, orgoglioso nuorese che tuttavia vive da quasi sempre a Bologna, e che pure, nel titolo della sua splendida prima raccolta di racconti, giocava sull’assonanza Nuoro e Nulla. Nuoro, l’‘Atene dei sardi’, come documenta una delle stanze del Museo; una città da cui pare però si debba fuggire, per poterla trasfigurare come luogo di memoria e letterario: ed è proprio Grazia Deledda a rappresentare per ora il più famoso esempio di questa dolorosa ma obbligata fuga, scrittrice di cui il 2016 ha visto le celebrazioni per i novant’anni dal Nobel.
Lo spettacolo Quasi Grazia, in prima nazionale in concomitanza col giorno natale della Deledda nell’attivissimo e ampio teatro della sua città, è una propaggine di queste celebrazioni. La pièce consiste in tre quadri, che ci propongono altrettante ‘stazioni’ ispirate alla biografia della scrittrice e soprattutto al romanzo postumo Cosima: il distacco dalla famiglia per attraversare il mare; il Nobel nella fredda Stoccolma; infine la sentenza, la diagnosi di cancro. La scrittura di Fois è limpida ed efficace, e non poteva essere altrimenti; la costruzione narrativa è perfetta, dal punto di vista letterario, un po’ meno dal punto di vista teatrale, dove le connessioni tra i quadri possono sfuggire e alcuni dialoghi in sardo risultare difficili. Il testo è messo in luce e ottimamente interpretato dagli attori: la grandiosa Lia Careddu, una madre forte ma ironica e bellissima; Valentino Mannias trasformista di grande talento in ben tre ruoli (il fratello, il giornalista svedese, il radiologo), un attore che abbiamo già apprezzato (qui la nostra recensione allo spettacolo Esodo) e che speriamo di vedere di più spesso in scena; Marco Brinzi impeccabile nella difficile parte del marito e di ‘spalla’ della protagonista. La regia di Veronica Cruciani è visionaria e ci fa incontrare le figure di sogno e di nostalgia della Deledda, ombre della sua scrittura ma anche della fiaba. Tra queste spicca la ieratica figura di donna in costume tradizionale, ma con il bianco volto androgino ed enigmatico del ‘Su Componidore’ di Oristano, che fissa il pubblico quasi promettendo di sciogliere indicibili oracoli.
Assistiamo così alla fiaba di una vita, come tutte le fiabe giocata tra due poli opposti: la bellezza, cioè il coronamento della vocazione e determinazione di scrivere e, di contro, le paure e i cimenti che l’eroe (in questo caso l’eroina) deve superare, le sfide all’impossibile, per cui diviene un folle ripudiato dal mondo, piccolo (la natìa e invidiosa Nuoro) e grande (la non meno invidiosa società dei salotti culturali). Nella fiaba non c’è lieto fine, perché l’autore ha scelto come ultimo quadro un brusco ritorno, dopo la consacrazione a Stoccolma, alla concretezza della vita umana segnata dalla morte e dalla malattia. Noi forse avremmo preferito restare nella fiaba e nel mito; e anche per questo avremmo rinunciato all’identificazione voluta e obbligata tra la protagonista, Michela Murgia, coraggiosissima e volenterosa nella veste di attrice, e l’eroina. Forse perché vorremmo vivere in un’epoca che non abbia bisogno di eroi, ma che piuttosto senta prima il bisogno di conoscere e studiare gli eroi del passato. Si auspica che lo spettacolo, assai curato nei costumi e soprattutto nelle musiche (di Francesco Medda, in arte Arrogalla) che rivedono in chiave elettronica la tradizione isolana, abbia grande diffusione. Non tanto perché contribuisca a far conoscere la realtà sociale e culturale degli ambienti in cui visse Grazia Deledda, quanto più perché ne diffonda la fiaba. E così, ci si augura che qualcuno degli spettatori, specialmente più giovani, abbia il bisogno di confrontarsi con la prosa ammirevole della Deledda, col suo realismo levigato, con la sua storia e con la storia in generale.
Sotera Fornaro
Quasi Grazia
di Marcello Fois
regia di Veronica Cruciani
visto al Teatro Eliseo di Nuoro_27 settembre- 1 ottobre 2017