Non è stato un semplice riscaldamento, una classica lezione di danza ciò che Roberto Zappalà ha offerto ai ballerini riuniti alla Dancehaus di Milano. Sdraiati in posizione fetale, arto dopo arto hanno iniziato un vero e proprio risveglio del corpo. Il movimento è qualcosa di ancestrale – spiega Zappalà – parte dal terreno, e come un fiore ha bisogno di tempo per sbocciare. Si inizia dalla conoscenza assoluta di ogni singola parte del proprio corpo, dall’esegesi di ogni movimento, prima di giungere alla danza. Con lentezza, si comincia dal viso, dalle labbra socchiuse, dagli occhi,poi il collo, una spalla, tutto il braccio e le mani, e ancora giù verso il petto, che con movimenti forti e potenti cerca di scavare nella terra e poi di staccarsi agognando il cielo. I ballerini contorcono i fianchi, il ginocchio, le caviglie, le dita dei piedi scalzi. Alla fine tutto il corpo è immerso in uno stato di consapevolezza e auto-osservazione. Muovetevi come se vi stessero dando una carezza – dice Zappalà. L’energia che dà origine a tutto nasce e si sviluppa dal centro interiore di ognuno. È da qui che derivano forza, velocità e inquietudine, fondamentali che il coreografo ha acquisito in primo luogo dalla sua terra natia, la Sicilia, e dall’Etna. Proprio dal vulcano ha tratto ispirazione per il lava-flowing, movimento che asseconda l’incedere fluido della lava, continuo, sinuoso, libero. Sono ammesse sospensioni durante questo esercizio, ma non pause. Non si beve, non si aggiustano i ciuffi scarmigliati, la maglietta scomposta. Esorta i ballerini a non cercare la forma estetica, ma la fluidità, la naturalezza. Dare dignità al disequilibrio, essere presenti e non passivi, in confidenza con il proprio corpo: da qui deriva il fascino di un ballerino.
Chiara Andreatta