Rising / Tatha
visti all’Elfo Puccini di Milano _ 27-28 ottobre 2014
nell’ambito di MilanOltre Festival.
È cominciata con un’ospitalità di rilievo la ventottesima edizione di MilanOltre, una delle poche occasioni per vedere danza internazionale di qualità a Milano. Ha ventisette anni Aakash Odedra, l’ispirato coreografo e interprete anglo-indiano a cui sono stati dedicati i primi due giorni della rassegna: un talento già riconosciuto nella coreografia internazionale (“astonishing dancer”, lo definice la “Dancing Review”), e nome che non tarderà a diventare noto anche al di fuori dai circuiti legati alla danza.
Il primo dei due lavori presentati all’Elfo, Rising, è una conferma della considerazione che il danzatore ha conquistato nell’ambiente: formato da quattro brevi composizioni, lo spettacolo porta la firma di tre nomi d’eccellenza come Akram Khan, Russel Maliphant e Sibi Larbi Cherkaoui. Ma ad aprire la performance è Nritta, creazione dello stesso Odedra e ottima porta d’accesso al suo personalissimo stile: una fusione vitale e potente della tradizionale danza Kathak e di istanze coreutiche contemporanee. Solo sul palco, Aakash Odedra ammalia il pubblico con un’esecuzione ineccepibile, con una presenza scenica densa e con la percepibile aura di sacralità che pare avvolgere i suoi movimenti.
Il danzatore mostra poi – ed è questo uno degli aspetti più sorprendenti dello spettacolo – la capacità di immergersi nel linguaggio di ciascun coreografo senza perdere il proprio riconoscibile tocco: dalle atmosfere ancestrali e ferine di Kahn, alla pulizia di immagine di Maliphant, fino ai ritmi rarefatti di Cherkaoui, Odedra resta protagonista. Per dare tutto lo spazio e l’attenzione necessaria all’interprete, i tre autori hanno scelto di ridurre al minimo l’impianto scenografico, lasciando che a fare la differenza fossero luci e geometrie sceniche. Con In the shadow of a man, Kahn costruisce un ambiente scuro, nel quale il corpo di Odedra perde i contorni umani e sembra accedere a una dimensione animale (eccezionale l’incipit: il danzatore, accucciato a terra, tiene l’attenzione solo con il movimento di una spalla); Maliphant crea invece una geometrica sorgente di luce rendendola centro della propria composizione scenica, poliedro intangibile che gli arti del performer tagliano con traiettorie precise e al quale nello stesso tempo attingono. Sibi Larbi Cherkaoui, al quale è affidata la chiusura, disegna una costellazione di lampade, tra le quali Aakash si muove con la composta padronanza di chi in quella dimensione celeste pare sentirsi a suo agio.
La seconda creazione, Tatha, è invece un viaggio profondo nel rapporto tra maschile e femminile: in scena con Aakash c’è Sanjukta Sinha, celebre interprete di Kathak. A prevalere, rispetto alle eclettiche composizioni di Rising, è la dimensione tradizionale, come appare chiaro fin dagli abiti di scena. Forse si tratta di una lavoro meno immediatamente coinvolgente per un pubblico digiuno di danza indiana; ma emoziona la sicronia profonda tra i due danzatori, il movimento all’unisono che pare scaturire dal medesimo respiro, la sensualità appena accennata che emerge dai brevi e delicatissimi contatti.
Ogni istante dello spettacolo, fino ai calorississimi applausi, sembra appartenere a una ritualità arcana alla quale lo spettatore ha, per una sera, diritto di accedere.
Maddalena Giovannelli