di CollettivO CineticO
visto al Teatro Franco Parenti di Milano _ 22-30 aprile 2015

Nel 2013 – in occasione dei 40 anni del Teatro Franco Parenti – il festival Tfaddal invitò tredici compagnie under 40 a “reinventare, sovvertire e sabotare” il più famoso testo di Shakespeare. Dagli studi prodotti in quell’occasione sono nati degli spettacoli compiuti, come l’Hamlet Travestie di Punta Corsara presentato nella sala ‘materna’ a gennaio, e questo Amleto di CollettivO CineticO. In totale coerenza con la propria identità e attitudine a inventare nuovi dispositivi scenici, la compagnia guidata da Francesca Pennini ha trasformato la sfida in un espediente per la creazione di un nuovo meccanismo ludico che scompone gli elementi ‘a margine’ del testo shakespeariano e li rende oggetto di quattro prove di un talent-show. L’aspirante Amleto viene infatti scelto a ogni replica dall’applauso del pubblico, in una rosa di quattro individui auto-candidatisi in risposta a una open call diffusa via web.

La decostruzione dell’idea stessa di rappresentazione inizia fin dall’ingresso in sala degli spettatori.
L’enumerazione dell’attrezzeria, delle misure del palco, delle luci, dei microfoni, degli altoparlanti, dell’applausometro e del suo funzionamento, diviene l’incipit di un manuale dentro ai cui margini di libertà si svolge lo spettacolo: un canovaccio dalla struttura ben definita ma aperta alle diverse interpretazioni e capacità dei concorrenti, replica dopo replica. La voce fuori campo della stessa Pennini guida l’audizione e impartisce ordini, assistita in scena dai tre performer che ‘ammaestrano’ gli aspiranti Amleto alternando alle prove alcune coreografie che appaiono riti propiziatori di aguzzini o supereroi. Tra decessi recitati o mimati malamente, alla fine di ogni prova un candidato “morirà definitivamente”, come sancisce la voce fuori campo, rimanendo cadavere in scena. Nessun attore mostrerà mai il proprio volto al pubblico: il sacchetto di carta coi buchi sugli occhi verrà sostituito, nella scalata fino al ruolo di Principe di Danimarca, da una più professionale maschera da schermidore. L’ amletico “essere o non essere” sembra demandato unicamente alla capacità di interpretare la regola dettata dalla struttura drammaturgica (e di guadagnarsi la simpatia del pubblico) fino a farsi assorbire nel ring dei mattatori.

Il candidato viene messo alla prova attraverso step successivi: prima un’intervista sui caratteri che appartengono al personaggio (il dubbio, la vendetta); poi il tentativo di attribuire dei gesti alle indicazioni per gli attori scritte dallo stesso Shakespeare a margine del testo; a seguire la recitazione di un brano imparato a memoria. Infine, la prova conclusiva: l’unico Amleto superstite dà corpo alla registrazione audio del monologo “essere o non essere”, sorteggiata tra cinque delle interpretazioni più note del cinema o del teatro, come quella di Giancarlo Giannini doppiatore di Mel Gibson nel film di Franco Zeffirelli.

Attingendo quindi sia dall’originale sia dal patrimonio di interpretazioni che ne hanno tramandato la fortuna, CollettivO CineticO propone un Amleto che non ripercorre il testo e le vicende note a tutti, ma le raggira lavorando, con l’espediente del talent show, sul dispositivo stesso della messa in scena. Chi si aspetta di assistere a una ricercata riscrittura drammaturgica o a una raffinata interpretazione non potrà che rimanere deluso. Ma chi vorrà stare al gioco apprezzerà senz’altro l’intelligenza e l’ironia con cui un testo sacro della storia del teatro viene scomposto e reso un meccanismo letale. Gli Amleti si accumulano a simboleggiare la moltiplicazione delle sue interpretazioni nella storia e l’inevitabile disorientamento dei candidati – che si presentano in teatro per la prima volta il giorno stesso dello spettacolo – diviene immediata trasposizione dell’incertezza cronica del personaggio. Ma lo spettacolo diviene anche pretesto per interrogarsi sullo statuto della messa in scena e su alcuni elementi alla base dei linguaggi contemporanei come la reinvenzione dei ruoli, il rapporto con il pubblico e l’aspetto temporale (e irripetibile) della performance.

Francesca Serrazanetti