Un divano, un computer, un cellulare, tappeti e cuscini, cavi elettrici annodati, e, naturalmente, il voluminoso romanzo di Tolstoj dimenticato per terra, farcito di post-it e segnato dall’esito di molte letture. Questi sono gli oggetti che trasformano la saletta di mattoni rossi della Cavallerizza in un soggiorno di oggi, come se ci si trovasse a casa di un amico. Ma Anna dov’è? Sarà forse quella donna di mezza età in canotta e mutande che ci fissa da un po’ con uno sguardo a metà tra l’entusiasmo e lo sgomento? Difficile sovrapporre la figura di chi ci sta davanti con l’immagine dell’eroina tormentata da romanzo russo rappresentata da cinema e teatro. Eppure…
Questa è solo la prima di una serie di aspettative disattese, che fanno da impalcatura allo spettacolo Anna K – una vivisezione di me firmato da Debora Virello. Si tratta di un monologo – almeno così veniamo a sapere dal foglio di sala – ma il monologo, in realtà, è già avvenuto, altrove e in un altro tempo, e Anna (interpretata dalla stessa Virello) non ha più alcuna voglia di ripeterlo. Spetta dunque a una registrazione farne le veci mentre la protagonista talvolta si muove seguendo ciò che dice la sua voce riprodotta; talvolta compie dei gesti che marcano un contrasto, come se ora prendesse le distanze da quel suo flusso di pensieri; altre volte ancora, finge di non sentire.
Sarà davvero Anna? E noi che la osserviamo chi siamo, allora? Ci accorgiamo così di essere stati adescati in un tranello: la protagonista ha bisogno di qualcuno che ascolti la sua storia per esistere, e per questo siamo ostaggi. L’amore di Anna Karenina per Vronskij, quello che Tolstoj dipinge così forte da indurre la sua eroina a mandare in frantumi la stabilità familiare offertale dal marito Karenin, si trasforma nell’amore per il teatro. Alla base della rilettura di Virello c’è infatti una svolta meta-teatrale, tutt’altro che scontata, e che si rivela il cuore stesso del lavoro: la dichiarazione d’amore di un’attrice alla sua professione, così forte da spingerla, ogni sera, a mettere in gioco ogni aspetto della sua vita sul palco.
È così che i ricordi personali dell’interprete affiorano uno dietro l’altro: le giornate di neve romane, con il romanzo di Tolstoj sotto braccio, quando le porte del teatro sembravano aprirsi per la prima volta, evocano in controluce le pagine dell’ultimo arrivo alla stazione di Anna. Emergono poi altre delicate analogie, come la voce registrata di un bambino che scherza con la madre, che è forse proprio il piccolo Serëža: l’amore filiale negato – spazzato via dalle esigenze di un altro più tirannico amore – diventa qui simbolo dei sacrifici che il mestiere di attrice ha richiesto. Lo testimoniano gli sfoghi tardivi, come a controbilanciare le rinunce obbligate della gioventù: una sigaretta fumata tutta d’un fiato, la voracità nel divorare un pacco di popcorn, le foto di una giovinezza perduta, con la promessa dell’inizio di una grande carriera, triturate in piccoli frammenti fino a divenire fiocchi di neve.
E proprio a partire da qui, da quella giornata nevosa in cui tutto ha avuto inizio o fine, che comincia l’ultima rappresentazione: il suicidio di Anna. Con addosso un vecchio costume, su una ferrovia immaginaria fatta di feltro e scotch, e illuminata dalla proiezione delle tante stazioni in cellulosa dei più famosi film tratti dal romanzo, Anna va incontro alla morte.
La performance di Debora Virello è senz’altro inconsueta: si trova, infatti, a svolgere il ruolo di mediatore tra la propria voce registrata e il pubblico, avendo a disposizione come unico strumento comunicativo l’espressività corporea e facciale. In questo modo riesce a veicolare gli stati d’animo censurati nelle parole, fornendo un commento gestuale ai capitoli in cui ha sezionato la sua vita, come fossero quelli del romanzo di Tolstoj.“Vivisezione fallita” ci comunica però la voce al termine della performance. Come a dire che l’operazione di scavo sui classici non può mai dirsi definitiva o esaurita.
Diego Luinetti
Anna K – una vivisezione di me
di e con Debora Virello
luci Marco Meola
foto di scena Alessandro Saletta
produzione Manifatture Teatrali Milanesi
Visto al Teatro Litta di Milano_23 Gennaio 2019