di Sara Meneghetti
regia di Lucia Menegazzo
visto allo Spazio Tertulliano_ 7-11 gennaio 2015
Un filosofo, un architetto e uno straniero. In Babel – scritto, diretto e interpretato da giovani neodiplomati della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi – il racconto biblico si riduce a un dramma a tre personaggi e si rivela in tutta la sua attualità. La drammaturgia è firmata da Sara Meneghetti, sul palco Lorenzo Frediani, Gabriele Scarpino e Giuseppe Scoditti, alla regia Lucia Menegazzo.
In una sorta di “stanza dei bottoni” un filosofo e un architetto, assai vetusti, dirigono i lavori di costruzione della torre: l’unico canale di comunicazione con il mondo esterno è un altoparlante da cui risuona la voce del capo cantiere; la loro sola compagnia è lo scheletro di un sacerdote, terzo componente muto del loro triumvirato. A turbare la monotona quotidianità dei due anziani arriva un giovane straniero. Da quel momento nulla è più come prima. Dopo aver conquistato la loro fiducia, lo straniero opera per distruggere tutto ciò che il filosofo e l’architetto avevano pazientemente costruito: a una misteriosa epidemia di rabbia segue una rivolta nel cantiere, il culmine della rivolta è la fuga di tutti gli operai nel deserto.
Lo spettatore comprende ben presto che lo straniero altri non è che Dio in persona, venuto a punire gli uomini che hanno tentato di costruire il “grande indice” puntato verso di lui.
Lorenzo Frediani, interprete dello straniero divino, dà vita a un personaggio sopra le righe, un po’ pistolero western e un po’ tronista, mentre Giuseppe Scoditti e Gabriele Scarpino conferiscono rispettivamente al filosofo e all’architetto gestualità ed espressioni che ricordano quelle di Dario Fo in Mistero Buffo, con esiti efficacissimi e spesso esilaranti. L’opera più nota dell’attore Premio Nobel è del resto un’esplicita fonte di ispirazione per la compagnia: dopo averla approfondita nell’ambito della Scuola Paolo Grassi, ne hanno tratto una loro rivisitazione dal titolo Racconti buffi, andata in scena ad Asti lo scorso dicembre per il festival Popolè.
Anche Babel è, a suo modo, un “mistero buffo”: uno spettacolo che fa dell’ironia lo strumento per mettere in scena un racconto sacro, affrontando il tema del rapporto tra l’uomo e il divino con un coraggio intellettuale che non perde mai la leggerezza e il gusto della risata. Gli uomini – sembra suggerire l’interessante drammaturgia – si trovano alle prese con una divinità che ignora le richieste, elude le domande e che finirà inevitabilmente per prevalere. Come nella tragedia greca, non c’è spazio per la consolazione: all’uomo non resta che riflettere con la maggiore libertà possibile condividendo il rito laico del teatro.
Alice Patrioli