Al Globe Theatre, quando la compagnia di Shakespeare metteva in scena Romeo and Juliet o King Lear, attori e spettatori erano immersi nella luce naturale, raggiunti dai rumori di Londra, dal vento o dal caldo – il Globe era del resto un teatro solo parzialmente coperto. Simile sorte è toccata al pubblico e agli interpreti di Di a da in con su per tra fra Shakespeare, che è andato in scena in uno spazio senza tetto nel Cortile delle Armi del Castello Sforzesco. La natura di questo luogo, diversa da quella dei teatri, ha determinato alcune varianti nella realizzazione dello spettacolo – di tipo tecnico e non solo – e ne ha introdotte altre nella modalità di partecipazione e di percezione da parte degli spettatori. Ognuno, entrato nel Cortile, ha dovuto trasformare un luogo di solito di passaggio o, al più, frequentato come punto di sosta , nello spazio di un rito collettivo e condiviso. Un genere di metamorfosi che solo la finzione teatrale con la sua carica emotiva può rendere possibile: se fin dall’inizio ciò che accade in scena non comunica e non evoca, la ‘scatola magica’ non si apre, l’individuo resta un uomo o una donna che sosta in un cortile: non diventa spettatore,  non guarda, non specchia, né si specchia. L’attacco dato da Serena Sinigaglia (regista e interprete di se stessa), Arianna Scommegna e Mattia Fabris a Di a da… ha fatto percepire che, d’un tratto, stava cambiando tutto. Il Cortile delle Armi è diventato un teatro, gli spettatori hanno partecipato al rito insieme agli attori, in una sintonia e in un coinvolgimento crescenti. Le stesse voci della città e il vento caldo – aperture alla ‘realtà’ inevitabili, per la natura stessa del luogo – sono diventate parte integrante dello spettacolo addirittura impreziosendolo: in particolare, nella celebre scena del balcone di Romeo e Giulietta, il vento sembrava evidenziare  la “distanza” fra i due corpi desiderosi (splendidi Scommegna e Fabris), o nella scena finale di Re Lear, quando il drappo rosso usato per simboleggiare il corpo esanime e leggero come una piuma di Cordelia, ha preso a tremare nella mano malferma del vecchio re e padre (Scommegna) ancora  per la complicità del vento.

Nato come conferenza-spettacolo, Di a da in con su per tra fra Shakespeare ha l’aspetto di un viaggio, ironico, intenso, comico, colto e mai saccente nel teatro e nel percorso di formazione registica della Sinigaglia. Shakespeare con Romeo e Giulietta aspettava la regista, allora giovanissima, al varco delle colonne d’Ercole. Superarle o non superarle era la questione. I pensieri contrapposti che agitavano la sua mente – messi in scena con autoironia attraverso parole e gesti propositivi (Fabris) e titubanti (Scommegna) – sono arrivati a una sintesi e Romeo e Giulietta, saggio di diploma alla Paolo Grassi, è stato il primo fortunatissimo spettacolo (qui la recensione) di una serie e l’inizio di una fertile alchimia fra giovani artisti (ATIR), che hanno saputo “fare della propria passione un mestiere”. Shakespeare è tornato, poi, a indicare un nuova tappa di viaggio, servendosi di un compagno apparentemente improbabile, Pedro Almodóvar, al quale si sono aggiunti Fellini, De Andrè, Kubrick, Pasolini, Spielberg …. Guardando Tutto su mia madre la mente di Sinigaglia è andata a Re Lear e, insieme, a una straziante perdita che l’aveva riguardata personalmente e mai abbandonata, come racconta con dolente tenerezza in Di a da. “Affrontare il Lear è cercare di colmare questa mancanza o forse è soltanto arrendersi definitivamente alla nostalgia” (Serena Sinigaglia in Valentina Garavaglia, Tutto su mio padre, ovvero King Lear secondo l’A.T.I.R di Serena Sinigaglia, “Tess”, Cuem, Milano2006 ). In Di a da il modo scelto dalla regista per raccontare la sua necessità di rappresentare Lear da un lato ha fornito al pubblico chiavi di accesso al percorso creativo, dall’altro ha accompagnato gli spettatori verso uno dei punti più intensi dello spettacolo. Nell’epilogo il re e padre clownesco – in senso felliniano – si apre in modo inatteso alla vita e togliendo il cerone bianco dal viso e la camicia dorata, si trasforma nell’amata figlia Cordelia, che torna a vivere rinascendo dal padre. “È il miracolo del teatro che fa rivivere, anche solo per un attimo, ciò che è morto”, dice Serena Sinigaglia mentre dal corpo di Cordelia si sprigiona un inno alla gioia per aver ritrovato ciò che credeva perduto per sempre.

La ripresa di Di a da in con su per tra fra Shakespeare oggi, e, per di più, in un teatro non teatro, ha un significato particolare, che si lega al destino dell’ATIR. L’Associazione di Teatro per la Ricerca Indipendente, di cui Sinigaglia è direttore artistico e socio fondatore con Fabris, Scommegna e altri artisti, deve lasciare la sua storica sede, il Teatro Ringhiera con la sua piazza e il quartiere. In questa fase di cambiamento, vedere Di a da che, con Eros e Thanatos può considerarsi manifesto dell’estetica teatrale della Sinigaglia, è  come assistere alla posa di una prima pietra. In un luogo simbolo di Milano, quale è il Castello Sforzesco, di questa pietra si sono sentite la solidità e la forza di un vissuto artistico appassionato e tenace e, insieme, l’energia vitale e l’audacia di un nuovo inizio.

Raffaella Viccei

 

Di a da in con su per tra fra Shakespeare
regia Serena Sinigaglia
con Mattia Fabris, Arianna Scommegna, Serena Sinigaglia

visto il 16 giugno 2017 presso il Cortile delle Armi, Castello Sforzesco, Milano