adattamento e regia di Vladimir Shcherban – Belarus Free Theatre

visto al Teatro Franco Parenti di Milano _ 23 novembre 2010

Prendete una piccola compagnia di teatro. Immaginatevi ora cosa significhi produrre uno spettacolo in Italia quando anche i giganti del settore piangono miseria in tempi di tagli al F.U.S. – Fondo Unico per lo Spettacolo, per chi ancora non avesse letto sui giornali le polemiche di questi giorni.

Pochi, pochissimi soldi da impiegare nella produzione, i costumi si possono recuperare in qualche mercatino, per le scenografie c’è poco o niente da fare. Se si vuole perseverare nell’impagabile e impagato intento di calcare la scena non resta quindi che scervellarsi per trovare scelte efficaci, brillanti e soprattutto low cost. Se ci aggiungiamo poi che la compagnia in questione non viene dall’Italia ma dalla Bielorussia dove, a causa della cripto-dittatura di Aleksandr Lukašenko, non solo non  gode di alcun finanziamento ma rischia per soprammercato che i suoi componenti e il suo pubblico siano arrestati ad ogni spettacolo, allora non resta molto da “scialare”.

Spremersi le meningi non diventa più dunque solo un modo per risolvere le difficoltà di messa in scena e produzione, bensì una necessità per sopravvivere e portare avanti un’idea. Diventa, che lo si voglia o meno, politica. Being Harold Pinter del Belarus Free Theatre, in cartellone al Franco Parenti insieme a Zone of Silence l’altro lavoro del triumvirato (sono sempre loro che si alternano tra regia, ideazione, drammaturgia) Koliada, Khalezin, Shcherban, ne è un fulgido esempio.

A differenza dei precedenti lavori della compagnia incentrati esclusivamente su testimonianze dirette questa volta è stato scelto di avvalersi, almeno in parte, di un autore teatrale di alta levatura, Harold Pinter, il quale, presente sulla scena con il suo sguardo vigile e severo immortalato in una gigantografia di cartone, ha dato la sua benedizione allo spettacolo regalando i diritti delle opere utilizzate.
La parola, i testi, la poetica dello scrittore inglese aderiscono perfettamente alla descrizione di una situazione tesa e complicata come quella che la popolazione – dissidente e non – dello stato dell’ex URSS deve ancora sopportare. La violenza, in tutte le sue declinazioni, è il leitmotiv delle scene che si susseguono in questo collage di episodi fittizi e reali: ambigua, irrefrenabile e quasi sempre brutale, si insinua in ogni gesto, in ogni circostanza, anche in quelle di apparente innocenza. Che il sangue scorra dunque, liquido e ostentato da una bomboletta spray, fisico come carne in mele rosso fuoco o evocato nelle lettere vere di prigionieri politici torturati, poco importa. Che serva a ricordarci la miseria dell’essere umano, a indignarci e, soprattutto, a far nascere nello spettatore un senso di solidarietà necessario e doveroso.

Teatro militante, dunque, coi suoi pregi e i suoi difetti: essenziale, diretto e puntuale nei colpi che mette a segno nella prima parte, quella che impiega le opere pinteriane, non sempre coinvolgente nella seconda, benché la materia, proprio perché reale, dovrebbe essere più toccante. Sia chiaro, il limite non è nella capacità degli attori di denunciare e raccontare quel che accade nel loro paese attraverso la forma teatrale (lo fanno egregiamente), ma è di carattere strutturale. Lo scarto di registro da un testo elaborato e formalizzato a quello basilare, di taglio documentaristico, non può infatti non essere accusato dallo spettatore, il quale rimane, almeno sintatticamente, un po’ disorientato.

I sovra titoli restano infine uno dei maggiori ostacoli da superare per godersi pienamente la rappresentazione: pensata per essere compresa in patria prima che all’estero (l’intento di sensibilizzare i propri concittadini, porta questo coraggioso collettivo a lavorare innanzitutto in Bielorussia nonostante i pericoli), la drammaturgia presenta molti dialoghi serrati e non sempre le scritte luminose riescono a restare al passo con il vivace ritmo delle battute, penalizzando l’intensa performance attoriale.

Si esce dalla sala con la sensazione di aver fatto la cosa giusta, di aver visto un buono spettacolo che ha il merito di portare con sé l’urgenza di comunicare, hic et nunc e con dedizione, la causa della libertà di espressione.
Chi pensa che fare politica sia solo retorica e faziosità è pregato di comprare un biglietto.

Corrado Rovida