Sulla scena spoglia, dominata da una luce calda, entrano gradualmente i danzatori, senza “dress code” e senza una coreografia unitaria. È uno dei performer a fornire le regole di base, per “leggere” la rappresentazione: «lungo, largo, rovescio, incrocio». Ogni danzatore ha quindi una serie di strumenti a disposizione: non si tratta di improvvisazione, ma di sequenze di movimento che si attuano secondo un codice che, al suo interno, contempla anche le variazioni. Per tutta la durata della performance, il palco è pervaso dai corpi, che eseguono, sovrapponendosi, assoli o pezzi d’insieme; si susseguono ingressi e uscite di scena, si aggregano gruppi, per poi dissolversi. Principio fondamentale di Bermudas – e ancor di più lo sarebbe stato per Bermudas_forever, titolo sostituito perché prevedeva la partecipazione diretta del pubblico è infatti l’interazione: ogni passo può essere imitato, ripreso, ripetuto o cambiato.

Accade perciò che i danzatori si incontrino e scontrino sulla scena, come particelle elementari – la fisica e il moto perpetuo sono, in fondo, ispirazione fondante della coreografia. Di conseguenza, le realizzazioni di Bermudas non sono mai identiche: la qualità del movimento, lo spazio impiegato dipendono dalla posizione e dall’azione degli altri danzatori. Ed è proprio interessante notare come i performer reagiscano alla presenza dei compagni, sperimentando tutte le possibilità del caso. Il flusso, la marea dei corpi che entrano ed escono di scena tracciano una sorta di climax ascendente, a restituire un effetto di crescente entropia. Le musiche martellanti e le luci, quasi come fulmini, ricordano che l’ispirazione deriva dalle turbolenze del Triangolo delle Bermuda. L’impressione, però, è quella di un caos razionale, che prevede anche la simmetria e la ricomposizione: ed ecco che proprio a metà della rappresentazione, nel silenzio, un assolo placa il tumulto ondoso dei corpi. È solo un attimo: i performer invadono nuovamente la scena, ricreando l’effetto di un disordine consapevole. Coralità e sintesi. Quando calano le luci, rimane nelle orecchie il suono dei respiri sul palco: l’eco misterioso del mare che si ode nelle conchiglie.

Eleonora Franchi

(ph: Andrea Macchia)


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview