da Christa Wolf
regia di Francesco Frongia
visto al Teatro Elfo Puccini di Milano _ 17 gennaio – 12 febbraio 2012

“Ecco dove accadde. Questi leoni di pietra l’hanno fissata”. Le ultime parole del romanzo di Christa Wolf danno inizio al lungo monologo: la porta di Micene, dove Cassandra è stata portata su un carro come bottino di guerra da Agamennone, sarà testimone della sua morte per mano di Clitemnestra, come è narrato da Eschilo. La veggente troiana lo sa e negli ultimi istanti ripercorre la sua esistenza, in una specie di veglia funebre a sé stessa che nei toni ricorda le Troiane di Euripide.

È di forte impatto l’incipit del video scelto da Francesco Frongia per aprire la messa in scena: Cassandra, perseguitata in sogno della profezia di Apollo “tu dirai il vero, ma nessuno ti crederà”, affonda la testa in una tinozza piena d’acqua e le sue parole non sono più udibili. È la sua voce, il suo rifiuto della menzogna ad essere soffocato. Sulla scena pochi elementi, tutti dal forte valore evocativo: a terra scritte in greco e in tedesco (“con questo racconto vado alla morte”), una scalinata d’altare illuminata da candele rosse e un carro di legno con una testa di cavallo. Il colore è il rosso, ma a dominare è l’oscurità.

Ida Marinelli, accompagnata dalle suggestive musiche di Gionata Bettini, regge da sola uno spettacolo breve e intenso, dando voce e corpo alla figlia di Priamo ed Ecuba con partecipazione, ma con una compostezza che, nei momenti più drammatici, sa diventare ancor più vibrante. Alterna commozione, tristezza, affetto, a tratti rabbia, nel rievocare l’infanzia serena, il dolce paesaggio intorno al tempio di Apollo, l’amore irrisolto per Enea, la bestialità di Achille che massacra il fratello Troilo, il sacrificio della sorella Polissena sulla tomba dell’eroe greco, la violenza subita ad opera di Aiace, la strage delle Amazzoni guidate da Pentesilea e il fatale cavallo di legno.

Un susseguirsi di orrori, una scia infinita di sangue che rende l’eroina quasi insensibile alle sue sofferenze: la morte cruenta di fratelli e sorelle, lo strazio dei genitori, la fine della propria città, la perdita dell’amore e il senso disperante di impotenza, il sapere e non poter fare nulla per cambiare ciò che il fato ha stabilito. Rimane la desolazione di una guerra come tante, che annienta l’individuo, porta via i migliori (Ettore, Enea) e costringe ad aderire alla logica della sopraffazione e delle menzogna.

È forse il vagheggiamento di un’utopica “sorellanza” cara al femminismo cui la Wolf aderisce, che nello scontro fra greci e troiani vede non solo il conflitto fra Oriente e Occidente, ma anche quello fra una società violenta e patriarcale e una più mite, di stampo matriarcale. Con ciò si allude a un modello di civiltà che non è negazione del maschile, ma ricerca di un diverso modo di essere uomo, che non implichi necessariamente la violenza, e di una esistenza armonica fra i sessi, liberi di ascoltare la propria voce interiore: “tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere”.

Simona Lomolino