di e con Daniele Timpano
visto al Teatro della Cooperativa di Milano_9-11 gennaio 2015

Mentre il suo Zombitudine sta girando l’Italia (sarà in marzo al PimOff) Daniele Timpano torna al Teatro della Cooperativa con uno spettacolo del 2007. Non sono pochi, del resto, i punti di contatto tra i due lavori: entrambi attingono da un repertorio di cultura pop-trash, cercando una possibile trasposizione scenica per cartoni animati e B-Movie.

Protagonista assoluto di Ecce Robot è Mazinga, nipponico eroe d’acciaio che ha plasmato le menti di un’intera generazione italiana. Ed è in primis a quella generazione di under quaranta che lo spettacolo si rivolge: Timpano cerca un contatto esplicito e diretto con i suoi coetanei (arrivando persino, a un certo punto dello spettacolo, a chiedere loro di alzarsi in piedi e farsi riconoscere). Lo scambio empatico che viene a crearsi attraverso la condivisione dei medesimi riferimenti socio-culturali è immediato, ed è un fenomeno non troppo diverso da quello che ottiene con i suoi disegni il bravo Zerocalcare.
Va però rilevato – ed è questo uno degli elementi di forza dello spettacolo – che gli spettatori che (per età o per gusto) non partecipano di quella mitologia non restano tagliati fuori. Timpano passa dal particolare all’universale e arriva a descrivere, attraverso la rievocazione dei cartoni animati giapponesi e della loro ricezione, un fondamentale snodo storico: quello del passaggio tra gli anni ’70 e gli anni ’80, dalla dimensione politica a quella individualista, dall’Italia della lotta armata a quella della tv privata, preludio del berlusconismo.

Grazie a un interessante lavoro di recupero delle fonti giornalistiche di allora, Timpano richiama il dibattito pubblico dell’epoca, tra demonizzazione di un oscuro pericolo a misura di schermo e buffe pruderie. Si ride di certe osservazioni bigotte e delle diffuse tonalità paternalistiche; ma si coglie in controluce l’angosciata percezione di un cambiamento epocale e l’inadeguatezza della classe intellettuale a farvi fronte.

Filtro dell’intera vicenda è lo stesso Timpano che (come accade in quasi tutti i suoi lavori) dà forma ad un racconto in ipersoggettiva: la materia storica si mescola alla materia biografica (“senza Mazinga non sarei diventato attore”), l’immagine del mastodontico robot di acciaio si contrappone antifrasticamente al corpo di Timpano (“guardate: uno scheletro con la pancetta”) e i frammenti del cartone animato si compongono di frammenti di vita familiare.
Tra sigle cantate con gusto, invettive a Cristina D’Avena, e doppiaggi di interi episodi, l’attore dà in pasto agli spettatori aguzzi paradossi (“mia madre è giapponese, mio padre è Berlusconi”) ma anche isterie, difetti, paure, meschinità.
Ecce homo.

Maddalena Giovannelli