di Carlo Goldoni, regia di Damiano Michieletto
visto all’Elfo Puccini, 2 – 14 aprile 2013
Damiano Michieletto, giovane regista veneziano (noto e apprezzato all’estero per i suoi allestimenti di opere liriche), si cimenta ora con Il ventaglio, la celebre commedia di Goldoni, scritta durante l’esilio parigino e pervasa da una certa malinconia e disillusione, forse dovuta anche all’età avanzata dell’autore.
Nato come canovaccio per i comici dell’arte, il testo ha goduto di una certa fortuna scenica, che continua ancora oggi (a Milano si è visto un altro giovane Ventaglio a inizio stagione, al Tieffe Menotti leggi la recensione su Stratagemmi). Michieletto ambienta la vicenda nella cornice senza tempo di un paese di campagna, in cui tutti si conoscono e passano il tempo a occuparsi degli affari altrui. I protagonisti sono giovani, si comportano da giovani e sono vestiti alla moda di oggi, tra bandane, leggins, shorts, acconciature rasta. Anche la colonna sonora, tra Amy Winehouse e Lou Reed, denota la volontà del regista di attualizzare quasi “a tutti i costi”.
La vicenda è nota: dopo i primi minuti di smarrimento dovuti al contemporaneo apparire in scena di tutti i personaggi, la trama si dipana sulla scia di un ventaglio che Evaristo (Daniele Bonaiuti) vorrebbe far pervenire alla sua Candida (Giulia Briata), ma che per una serie di casualità sfavorevoli viene intercettato da altri, dando il via ad un’esilarante sarabanda di presunti tradimenti, ripicche, gelosie e amicizie spezzate. Amore è il vero protagonista, incarnato nella figura snella e birichina di un Cupido giovinetto che aleggia sulla scena, una delle trovate più convincenti della regia.
Così come nell’originale, anche in questo adattamento, il ventaglio, oggetto in sé di scarso valore, acquista il significato universale di ciò che, pur non potendosi comprare, è determinante per la felicità di ognuno ma allo stesso tempo molto fragile, potendo svanire all’improvviso per una frase non detta o per un involontario sfasamento temporale.
Suggestiva, nella sua essenzialità, è la scenografia di Paolo Fantin, ove campeggia in rosso la parola “amore”, accanto alla quale gli attori indicano i nomi dei personaggi e il filo sottile che ora li unisce, ora li divide, man mano che la vicenda prosegue. Un punto di forza dello spettacolo è la verve dei giovani protagonisti, la loro fisicità sostenuta, coinvolgente. In particolare emerge Silvia Paoli, che dà vita a una Giannina coraggiosa e quasi “femminista ante litteram”, nell’indipendenza orgogliosamente rivendicata di fronte alla tradizione, una figura che per certi aspetti ricorda quella di Mirandolina.
A fronte della fedeltà al testo – eccettuata la soppressione di un paio di personaggi secondari e l’inserimento di qualche romantico sonetto di Shakespeare– appare un po’ forzata la scelta di attualizzare a tutti costi: l’oste Coronato entra in scena con bandana e muscoli in bella vista, il suo rivale, il calzolaio Crespino con acconciatura ‘rasta’, Giannina in shorts e leggings fluorescenti, Evaristo non è più un cacciatore, ma un prestante tennista, il ventaglio, strumento di seduzione per antonomasia, si trasforma in un ventilatore tascabile. Alla fine però l’ingranaggio della commedia coinvolge e diverte, fino alla sospirata unione delle due coppie, e finalmente il piccolo ventaglio trova pace, dopo “aver fatto girare la testa dal primo all’ultimo”.
Simona Lomolino