Visto al Piccolo Teatro Strehler

dal 21 novembre al 6 dicembre 2012

Eduardo che torna a Milano è sempre una festa. In primo luogo per coloro che amano lui, la sua opera e il teatro tutto. Ma dovrebbe diventarlo anche per chi non ama particolarmente il capocomico napoletano, l’ultimo dei classici del Novecento italiano a teatro. Perché un altro Eduardo dobbiamo ancora trovarlo, e certamente ne avremmo bisogno, in questo momento in cui ci dimentichiamo di quanta bellezza e profondità siamo stati in grado di produrre e mettere in circolo, in quelle epoche in cui il teatro era considerato fondamento culturale della società, riconosciuto luogo di critica e analisi. Quando il teatro era ancora importante, insomma.

Al Piccolo sono in cartellone tre produzioni eduardiane. A cominciare da questo La grande magia, con il figlio Luca alla regia e nei panni di Otto Marvuglia, l’illusionista alter ego del Sik Sik del primo Eduardo, ruolo che all’inizio fu del padre (e poi di Franco Parenti con la regia di Strehler nel 1985, un’edizione-commemorazione, con il maestro scomparso poco prima). A breve ci sarà un Natale in casa Cupiello, con Fausto Russo Alesi monologante. Attesissimo, infine, nella primavera del 2013, Toni Servillo, che questa volta entra nel meccanismo pirandelliano de Le voci di dentro.

In questa La grande magia Luca, che invecchiando somiglia un po’ di meno al padre, semmai prende un po’ le sembianze del nonno Scarpetta, non fa nulla di eccezionale, ma lo fa bene. Fa rivivere e dà lustro a un testo un po’ bistrattato, certo non fortunato, sicuramente minore dell’opera eduardiana. Dunque non fa poco, perché la stramba storia di Calogero Di Spelta e della scatola del tradimento oggi, nelle mani di Luca, torna a nuova vita, appare più vigorosa e chiara. Quasi si fortifica, con una regia che punta sul grottesco e a far ridere, cercando di livellare e mettere in secondo piano le peripezie linguistiche e i giochi di pensiero, le divagazioni e i sofismi che rendono poco digeribile il testo originale e che appesantivano anche l’edizione pensata per la tv con Giancarlo Sbragia nel ruolo del marito abbandonato, decisamente fuori asset con un’interpretazione calcata, drammatica.

Luca è un bravo prestigiatore, cantilena e ammalia. È energica la moglie Zaira (Carolina Rosi, figlia del Rosi regista con cui Luca ha messo in scena la sua precedente trilogia eduardiana), fa ridere il brigadiere con inflessione siciliana (Lando Buzzanca nell’edizione televisiva), Di Spelta (Massimo De Matteo) sta ben in equilibrio tra la gelosia e la pazzia, tutto chiuso dentro le immagini “ataviche e mnemoniche” che gli cucina e gli serve Marvuglia. Certo la trama è quello che è, la prima e l’ultima scena rimangono troppo lunghe, i tre atti appaiono giustapposti. Come nelle altre commedie che Eduardo dedica, in riflessione e in evoluzione, al suo maestro Pirandello, lo sforzo risulta innaturale, il risultato è convincente a metà. Però è davvero eccellente il lavoro fatto da Luca per sveltire, omogeneizzare, creare continuità. Suggestive le scenografie visionarie e cinematografiche di Raimonda Gaetani. Si può dire che, alla fine, il “giuoco” riesca. Eduardo ne sarebbe soddisfatto. Se non altro per quella sottile ansia che si instilla, goccia a goccia, dai momenti più rilassati a quelli più cupi della vicenda. Perché tutti possiamo dire di vedere il mare dove invece c’è una parete, e poi decidere di andare oltre quella parete, sempre tenendoci la nostra scatola chiusa in grembo, pensando di poter uscire dal “giuoco” quando ci pare. Tutti lo pensiamo. E se fossimo davvero chiamati a farlo?

Francesca Gambarini