17-23 febbraio 2020_Milano

1. Scene da Faust di Federico Tiezzi al Piccolo Teatro Grassi

Federico Tiezzi negli ultimi anni non ha smesso di interrogarsi sull’instabilità del nostro presente, con spettacoli come Antigone o Freud e l’interpretazione dei sogni. Lavori sui classici non solo della letteratura, indirizzati a parlare di una condizione che — sottovalutate le avvisaglie del postmodernismo — si traduce oggi in una profonda crisi di identità a tutti i livelli da quello geopolitico a quello privato. Ora è il turno del capolavoro di Goethe, mito ottocentesco, rivelatore del nostro tempo. Lo sdoppiamento tra Faust e Mefistofele mostra così le polarità su cui si muove il contemporaneo: il distacco tra conoscenza e realtà, il doppio come specchio del rimosso, il dogma e la scienza, l’incomunicabilità tra simili, l’avidità e il perenne e insaziabile senso di vuoto.

 

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2. Cabaret Sacco & Vanzetti di Giampiero Borgia al Teatro Filodrammatici

È passato quasi un secolo da quell’agosto 1927 che vide Ferdinando Sacco e Bartolomeo Vanzetti giustiziati sula sedia elettrica in una prigione di Charlestown, Boston, Massachusetts, ma la loro storia rimane tra le più sentite del nostro paese. Sarà per l’epilogo tragico: le accuse infondate e le angherie subite che rendono la loro vicenda una sorta di martirio esemplare. Sarà perché le vicissitudini dei due anarchici emigrati riescono a tenere insieme alcuni opposti: indignazione patriottica e simpatia per l’irriducibilità libertaria, il sud e nord del paese d’origine, la cultura popolare e quella politico-intellettuale dove la loro storia trova equamente posizione. E se farsa è stato il loro processo, farsa può diventare anche il loro racconto nello spettacolo firmato da Gianpiero Borgia con la drammaturgia di Michele Santeramo. Un cabaret dove la traiettoria drammatica si bilancia con una cornice d’avanspettacolo, per osservare criticamente, ferocemente ma sempre col riso sulle labbra il rapporto tra la storia e il nostro presente. L’Italia è un paese dove «più complicato e grave è il momento, più i linguaggi dell’avanspettacolo e della politica si confondono» ricorda il regista. Chissà che in tempi di show al citofono e decreti sicurezza non ci sia qualcosa da imparare.

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3. Mai generation di Oyes a MTM/Teatro Litta

Dove comincia e dove finisce una generazione? È solo un’accidentale condivisione di uno stesso periodo storico o chi ne fa parte ha il potere di determinarne le caratteristiche? Forse i primi passi di una generazione sono proprio quelli ancora incerti degli adolescenti che si oppongono, che si interrogano sui propri diritti e sul proprio futuro. Gli Oyes prendono le parti dei ragazzi di oggi e più in generale di tutti quelli nati e vissuti dopo il Sessantotto, che del maggio della rivoluzione hanno un ricordo sempre più appannato e mitizzato. E una scuola occupata, così come un teatro, dove l’ordine può essere brevemente e illusoriamente ribaltato, è indubbiamente il luogo migliore per dare libera voce a una generazione che pronuncia ora le sue prime battute.

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Camilla Lietti e Corrado Rovida