di Maria Tranoù
regia di Kleoni Flessa
Visto ad Atene, Theatro tou Neou Kosmou – fino all’11 gennaio 2015

Come è noto, nel I secolo d.C. Quintiliano rivendicava “satura tota nostra est”, e ancora Ariosto ma anche Alfieri e Leopardi affidavano alla veste metrica commenti amari sulla realtà contemporanea. Oggi è raro, tanto in Italia quanto in Grecia, trovare satira in versi.

Ha stupito molto quindi l’esperimento metrico ideato da Maria Tranoù, che in settembre era ospite al festival milanese Tramedautore con Roof  (leggi la recensione su Stratagemmi). Il suo nuovo lavoro è L’esattore e le fanciulle, una “satira politica surreale” scritta in versi decapentasillabi rimati. Si tratta del metro più importante della letteratura greca moderna, dall’andamento narrativo e vicino alla parlata quotidiana, il più vicino al “respiro” del popolo. Infatti in decapentasillabi sono gli splendidi Canti popolari, la letteratura del Rinascimento cretese e molti poemi dell’Ottocento e Novecento che hanno il preciso intento di riferirsi alle radici della tradizione. E non è un caso che, quando il nuovo Stato greco muoveva i suoi primi passi, dopo la liberazione dal giogo ottomano (metà XIX secolo), fosse diffuso il genere della satira in questo metro, per sferzare i cattivi costumi della politica, le assurdità della burocrazia, il carattere-tipo dell’ingenuo e rozzo contadino inurbato.

Che senso ha dunque scrivere una satira in versi nel 2014? Con una intelligente operazione di recupero, Maria Tranoù ha voluto collegarsi alla precedente tradizione letteraria per sottolineare analogie e contraddizioni della contemporaneità. Se un secolo e mezzo fa la Grecia viveva il difficile passaggio da una realtà rurale alla modernità, esaltata da alcuni come l’unica via possibile per la crescita del Paese, oggi si assiste allo sgretolarsi di quei sogni di progresso, schiacciati dalle logiche incomprensibili della finanza, e dall’impotenza di una classe politica inefficace e corrotta. Nei giorni della profonda crisi economica la città non offre più speranze di riscatto e anzi sempre più spesso in Grecia il movimento è contrario: le nuove generazioni prendono la via dei monti o della campagna, in una riscoperta della terra che avviene più per necessità che per scelta ecologica.

Ecco allora che la vicenda narrata si sviluppa intorno a due sorelle impoverite che vagano in una desolata landa montana, vivendo della raccolta di erbe, radici e frutti, in una scena cosparsa di foglie. È un mondo ‘altro’, che risente solo di lontano degli echi della città e delle sue storture, attraversato dalle magiche movenze di eleganti e misteriosi animali del bosco. E il programma di sala è stampato su mascherine di cartone, che hanno i tratti di lupi, gufi, orsi, come per invitare lo spettatore a una metamorfosi del punto di vista. Ma inesorabile la burocrazia arriva fin qui, nella persona dell’Esattore delle imposte, con valigetta, timbro e registro. Le fanciulle sono rimaste senza lavoro a causa della crisi, hanno lasciato la città e ora non pagano tasse sulla casa (vivono in una capanna) nè IVA sui prodotti del bosco, e addirittura nascondono un bimbo appena nato, senza averlo dichiarato ai registri dell’anagrafe. Lo scontro verbale è acceso, le fanciulle “fuorilegge” sono agguerrite e scaltre nel dimostrare l’assurdità delle richieste dell’Esattore, che gradatamente allenta le sue rigide difese di ufficiale burocrate, fino a smarrire i simboli della sua funzione (timbro e registro). Per salvarsi dalla degradazione di ruolo e dal probabile carcere, decide di restare fra i monti, perché “la cosa più importante è sentirsi libero là dove cammini”, lontano da vincoli, costrizioni e storture.

Gli attori riescono a donare naturalezza al ritmo dei decapentasillabi, evitando la trappola di una gabbia metrica e mostrando invece la fluidità del metro tradizionale, che l’autrice è riuscita a piegare alle modalità linguistiche moderne, con rime baciate inattese e stranianti (bye/Dubai) dove si raggruma l’ironia. Si ride e si riflette in questo interessante esperimento che mostra la vena genuina della grecità. Il rovesciamento surreale e il sorriso – spiega l’autrice – permettono di trovare una giusta distanza rispetto alla tragedia della realtà contemporanea. E forse, al di là del dramma, è possibile ricominciare a sperare.

Gilda Tentorio

Questo contenuto fa parte di “Sguardi sulla Grecia”.
Un progetto a cura di Gilda Tentorio.