di e con Afra Crudo
visto al Teatro Sala Fontana di Milano _ 23-25 maggio 2013
“Catartico o angosciante?” Il pubblico è diviso all’uscita del Teatro Sala Fontana che ha proposto in prima nazionale L’Ultima Madre, diretto e interpretato della danzatrice e attrice Afra Crudo.
Lo spettacolo concentra, in quadri successivi, l’esistenza della nonna dell’artista: una donna del Sud Italia che ha vissuto gran parte della vita in una casa senza finestre. La condizione tristemente reale a cui la donna è stata costretta dopo il matrimonio diventa metafora di una femminilità castrata; il mondo maschile, responsabile di questa oppressione, viene volutamente escluso dalla prospettiva dello spettacolo. Non sfugge, per quanto taciuta, la risonanza con il nostro presente in cui la violenza sulle donne (fisica e psicologica) si ripete con incredibile ferocia.
Ormai vecchia, carica di superstizioni e ossessioni, la donna lascia quasi con indifferenza che il pubblico invada la sua quotidianità mentre trascina la sua esistenza giorno per giorno, accompagnata dalla radio e dalla luce fioca di una candela.
Afra Crudo si presenta a volto scoperto: la trasformazione nella figura della nonna, attraverso il medium di una maschera, avviene con lentezza davanti agli spettatori, quasi la performer volesse concedersi il tempo per entrare in una condizione lontana ed estranea. La metamorfosi – che coinvolge postura, gesti e atteggiamento – assume così le caratteristiche di una vera e propria evocazione: il volto dipinto di bianco delle danzatrice richiama la pratica di totale immedesimazione del butoh (danza giapponese) e genera un’atmosfera inquieta, a tratti quasi funerea.
Grazie alla forza evocativa del gesto prendono vita deliri, desideri deviati, pregiudizi. Le memorie e i rimpianti trovano una trasposizione concreta in quattro figure-simbolo: la cartomante, la sposa, prostituta e l’angelo del Male. È un armadio, unico elemento di scena, a rendere possibile le trasformazioni della performer, che assumono a tratti un sapore da film horror: sono inquietanti spie di morte la sposa insanguinata e la prostituta che si esibisce in uno strip grottesco, mentre indossa la maschera da vecchia. Il codice realistico scelto per rappresentare i movimenti impediti della donna si intreccia così al clima dilatato e onirico delle figure-simbolo, ben sottolineato dalle luci rarefatte. Ed è proprio in questi momenti che le due personalità, così lontane per età, cultura e vita, si congiungono in un coinvolgente e atemporale cortocircuito al femminile.
Camilla Lietti