«Quanti di voi hanno letto I promessi sposi?» chiede Carlo Decio, ancor prima di cominciare quella che sarà la sua personale rivisitazione del classico italiano per eccellenza.
Attore, doppiatore e mimo, Decio mette in scena questo spettacolo ormai da un anno ma sembra trovarsi ancora in imbarazzo nel momento in cui deve precisare che, in realtà, intende domandare se qualcuno dei presenti in sala abbia mai letto «tutto I promessi sposi». Quando tutte le mani fino ad allora alzate si abbassano, e ne resta una sola accompagnata da un lieve ma deciso «sì» di voce femminile, Decio, sorpreso, può iniziare il suo spettacolo. Lecchese di nascita, non indugia nemmeno un istante nel dar prova della sua conoscenza delle acque di «quel ramo del lago di Como» descritte dal Manzoni, del suo cielo e delle «catene non interrotte di monti» che vi si trovano attorno e a cui sarà inevitabile dire addio. In virtù della stessa poetica romantica di cui si avvale il manoscritto, l’attore proietta sul paesaggio le proprie emozioni e quelle dei personaggi, assegnando un ruolo fondamentale alla geografia dei luoghi, compreso il palco su cui si trova. Infatti, distante solo poche fermate di treno dalla Villa di Brusuglio in cui l’illustre scrittore dell’Ottocento trascorse parte della sua vita immerso nei suoi esperimenti di botanica, all’interno della stazione di Villapizzone scopriamo l’ambiente inaspettato scelto per I Promessi Sposi da FringeMI. Spazio Polline è uno spazio culturale rigenerato, ubicato al piano interrato dello scalo del passante ferroviario, poco prima dei tabelloni orari e degli interfoni che comunicano partenze e ritardi dei convogli diretti a Como o a Milano. Succede, durante la performance, di sentire ogni tanto il suono dell’annuncio di Trenord che invita a non oltrepassare la linea gialla, ma una volta creata l’atmosfera è difficile che si rompa. In questo luogo non esattamente manzoniano, solo e ricurvo sulla schiena, l’interprete esordisce leggendo alcune pagine di una vecchia edizione del romanzo, rilegata a mano e ricolma di polvere. Già dopo le prime righe, la consueta cantilena di epidemie e ingiustizie trova alcune analogie con il tempo presente ma, tra gli sguardi smarriti che cercano di indovinare cosa stia per accadere, subito s’interrompe. Decio inizia a interrogarsi sull’attualità del romanzo e sulla sua portata semantica, si chiede se la storia di due innamorati che il destino tenta di allontanare potrebbe avere successo come serie Netflix, compresa di sigla e recap vari. Così prende corpo uno spettacolo articolato in un grande esercizio stilistico, in cui ogni episodio equivale a un genere teatrale diverso. L’amore tra Renzo e Lucia, l’incursione spagnoleggiante di don Rodrigo, i tumulti e la peste, Gertrude e la sua infanzia: i personaggi manzoniani sfilano di fronte ai nostri occhi, delineati da un’acuta analisi del testo, a cui si rimane fedeli nel frasario e al contempo si adatta per il pubblico di oggi, rendendolo accessibile anche ai pochi che non ne hanno (ancora) sentito parlare o a chi ne ha solo vaghe reminiscenze scolastiche. Gli spettatori più esperti, invece, arrivano in soccorso quando è necessario trovare le parole per descrivere i Bravi, oppure, costantemente coinvolto e divertito, per impersonare la folla durante la celebre rivolta del pane. Decio sfrutta tutto lo spazio a sua disposizione: da un pulpito sulla destra del palco recita il riassunto dell’episodio precedente; a ridosso di tre cubi centrali, che fanno da base per i diversi luoghi del racconto, si improvvisa un anziano cantastorie; sulla sinistra, è custodito un baule che contiene i titoli di testa del nostro “teleromanzo”. La scena diviene un teatro di posa a tutti gli effetti, in cui sono in atto le registrazioni di The Betrothed Lovers, serie tv in costume scritta da «Alexander Bigbeef» con la regia di Matteo Riva. Ci aspetteremmo, in questi casi, un green screen come fondale, ma la scenografia essenziale dello Spazio Polline e la naturalezza dei movimenti dell’attore ci lasciano di fronte a un monitor da tredici pollici con microfono integrato. La voce di Decio – che interpreta da solo tutti i personaggi – ci guida nell’immaginare il periodo storico e gli abiti di scena: è tutto così realistico, addirittura il gesto con cui cliccare “salta l’intro” appare naturale. Assistiamo a una prova attoriale densa e avvincente: a partire dall’impalcatura narrativa di uno dei capisaldi della letteratura italiana, Carlo Decio sfrutta la forza scenica del romanzo, per farci riscoprire un libro che abbiamo incontrato, obbligati, tra i banchi di scuola e che in tanti, forse, prima di questo spettacolo, non erano riusciti ad amare.
Alessia Vitalone
in copertina: foto di Zoe Vincenti
I PROMESSI SPOSI
drammaturgia di Carlo Decio e Matteo Riva
con Carlo Decio
regia di Matteo Riva
produzione Teatro de gli incamminati e Teatro Pedonale
Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2024