Attorno al concetto di “limite” si sviluppa il cuore della masterclass tenuta da Simon Bertozzi per MilanOltre. Venti danzatori si scontrano con restrizioni spaziali ma anche fisiche entrando così a pieno nel lavoro di ricerca della coreografa e della sua ultima opera Tra le linee. Prima di arrivare però al centro pulsante della pratica si ha bisogno di un’introduzione al lavoro. Nel caso di Bertozzi è un riscaldamento che si articola attraverso una mappatura del corpo in grado di rendere i danzatori consapevoli del loro respiro, del loro peso, della forza di gravità e della loro presenza. Questa prima parte, come fa notare la coreografa «è più in potenza che in atto», significa cioè che riguarda più quello che i partecipanti percepiranno dall’interno, rispetto alla forma che si manifesta esteriormente.
Si parte. La progressione dal pavimento alla verticalità consente ai danzatori di esplorare le connessioni presenti nel loro corpo attraverso la tridimensionalità, ma soprattutto permette loro di indagare la proiezione del movimento nello spazio. Proiezione che, come concetto, è molto caro a Simona Bertozzi in quanto si lega all’idea di limite: il movimento parte da un impulso che viene intercettato dal corpo, lo attraversa e lo proiettata nello spazio. In questo senso il limite ci permette di sconfinare e proiettare al di fuori di noi. Questo è ciò di cui fanno esperienza gli allievi nell’ultima parte di lezione attraverso un esercizio in cui viene chiesto loro di danzare pensando di avere una membrana che li limita, e perciò di proiettare al di fuori di questo confine il loro movimento. Si crea un’improvvisazione corale in cui i danzatori delimitano il loro spazio personale ma anche lo spazio della sala, lasciando una “impronta” da cui gli altri potranno prendere ispirazione, trasformandola. Con questo ultimo gioco di “appropriazione del movimento altrui” e di “superamento del limite imposto” si chiude la masterclass, lasciando la voglia di sconfinare in altri spazi, per scoprire nuovi mondi, anche fuori da una sala prove.
Milena Borgonovo
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview