Liberamente tratto da La casa del sonno di Jonathan Coe
regia e drammaturgia di Filippo Renda
visto al teatro Filodrammatici dall’_13 all’18 gennaio 2015

“Ecco dei fogli e una penna, potete farne ciò che volete durante lo spettacolo: scrivere, disegnare, scarabocchiare, ma anche lasciarli intonsi”. È lo stesso Filippo Renda ad accogliere il pubblico nel foyer del Filodrammatici: come un premuroso padrone di casa dà il benvenuto ai propri ospiti, saluta, stringe qualche mano, sorride cortese. Sembra quasi il primario di una struttura medica mentre osserva l’ingresso in clinica dei propri pazienti: è gentile, certo, ma si assicura allo stesso tempo che vengano dotati degli appositi dispositivi funzionali al trattamento. E del resto proprio intorno a un nosocomio ruotano le vicende di Notturno – libero adattamento de La casa del sonno di Jonathan Coe – di cui il giovane attore-regista diplomatosi alla scuola del Piccolo Teatro firma anche la drammaturgia.

Guarire i disturbi del sonno, questo si fa ad Ashdown, ed è per lo stesso motivo che Sarah (Alice Redini), incostante in amore quanto sul lavoro a causa della sua narcolessia, si affida alle cure del dottor Gregory Dudden (Filippo Renda) e del suo team di esperti tra cui spicca l’androgina e determinata dottoressa Cleo Madison (Irene Serini). La terapia consta fondamentalmente in sedute psicanalitiche che, mirando a una riappropriazione fisica (il sonno, ci ripete la voce off di Dudden, è una malattia da estirpare), innescheranno anche il risveglio di ricordi da tempo sopiti. È così che le toccanti e tormentose reminescenze del passato di Sarah emergono dal torpore, facendosi, letteralmente, rivelazione.

Renda trasforma il palco del filodrammatici in una palpebra chiusa: un telo, membrana semitrasparente che offusca la vista, fa sì che lo spettatore possa solo intuire ciò che accade dall’altra parte, sulla scena. Su di esso vengono proiettati ora ambientazioni dallo stile gotico-fumettoso, ora vere e proprie sequenze filmate, ora indicazioni temporali che dovrebbero fare da raccordo fra i vari passaggi della narrazione, articolata, come nel romanzo, su più piani temporali.

L’effetto che si ricava è quello di un sogno confuso dalle molteplici suggestioni, sulle quali spicca, accanto al già menzionato graphic novel style, un evidente influsso cinematografico. I connotati di un giallo psicologico dai toni orrorifici si ibridano con stilemi da espressionismo tedesco. Ashdown, abbarbicata su un promontorio a picco sul mare, sembra un luogo dell’oblio del tutto simile alla Shutter Island di scorsesiana memoria, mentre l’uso di luci sfarfallanti, l’allungarsi delle ombre, il gesticolare convulso dei personaggi sono talmente in linea con le pellicole dell’avanguardia anni Venti che anche il riferimento esplicito al racconto gotico (in questo caso Der Sandmann di E.T.A. Hofmann) appare quasi scontato. A complicare ulteriormente questo potpourri onirico-postmoderno ci si mettono poi una colonna sonora che non disdegna il contemporaneo (dalla Vita tranquilla di Tricarico all’immancabile Sweet Dreams degli Eurythmics fino ad Antony and the Johnson), costumi in salsa steam-punk e, naturalmente, i “sonniloqui” sopra le righe di Alice Redini e Irene Serini.

Troppo. Anche per una seduta di psicanalisi. Perfino per un sogno. Ecco allora che gli alibi prendono fuoco: il ritmo scivola presto in una letargica concitazione, il gioco metanarrativo si ripete superfluo tanto che quando vengono accese le luci sulla platea a suggerire che il pubblico stesso è vittima delle sadiche ricognizioni del dottor Dudden, le reazioni sono assai tiepide.
Peccato: le intuizioni erano tante e il lavoro di analisi così come la ricerca di una chiave interpretativa sono tangibili (come rivela, ad esempio, la particolare attenzione riservata alla questione di genere). Ma in questa sovrabbondanza riflessiva Renda sembra dimenticarsi dello spettatore: abbandonato al suo taccuino, separato dalla scena per la quasi totalità dello spettacolo, rischia di essere castrato in ogni coinvolgimento. E allora sarebbe bene ricordare che, a differenza dei reclusi della clinica di Dudden, il degente di platea ha sempre la possibilità di ricambiare, con ugual moneta, al momento degli applausi.

Corrado Rovida