Family day, sentinelle in piedi, movimenti no gender, ddl Pillon, di questi tempi in Italia i diritti legati al tema della famiglia sembrano oggetto di continue ritrattazioni. Un elastico sempre più teso con chi, d’altra parte, spinge verso un allargamento dei diritti e un ripensamento della tradizione.
A maggior ragione, di fronte a un orizzonte di questo tipo, vale la pena rileggere uno dei testi teatrali meno praticati di Pirandello ma che del tema centra i nodi più controversi: La ragione degli altri del 1895, commedia crudele e lucidissima dove la norma etica in ambito famigliare viene messa in discussione in un confronto/scontro con il reale. Non a caso siamo in una città di provincia, luogo e stereotipo di un conformismo giudicante, pronto a scandalizzarsi a ogni soffio di vento. Sempre a bassa voce, si intende. Un crescendo di bisbigli apre infatti lo spettacolo e spinge sul palco tre attori che, spaesati, si ritrovano al centro della scena.
Il pubblico viene messo al corrente dei loro ruoli ma non dei loro nomi: “marito” (Michele Di Giacomo), “moglie” (Giorgia Coco), “amante” (Federica Fabiani), tre parole impresse su altrettanti schermi accanto ai quali si posizionano i personaggi. Un gesto che, dietro l’apparente presa di possesso, nasconde invece un atto di soggezione al ruolo assegnato, trasformando la maschera — di pirandelliana memoria — definitivamente in etichetta e gabbia. Questa “spersonalizzazione”, pur distanziandosi dal testo di partenza, in cui le generalità dei protagonisti erano note, mantiene intatta l’intensità emotiva del racconto e la sua climax ascendente: nonostante le personalità si delineino infatti da subito, stagliandosi sulla scena nuda, priva di fondale, ci vorrà del tempo per conoscere il segreto che allaccia questo triangolo di umanità.
L’intreccio prende allora forma lentamente nei dialoghi serrati dei personaggi, la cui densità è valorizzata dai bravissimi attori. Scopriamo così che il marito è soffocato dai debiti che tenta di ripagare lavorando come giornalista della cronaca spiccia della “Provincia” locale. Vive tra una casa popolare, quella dell’amante in difficoltà economiche, e la villa della ricca moglie. Completamente sordi alle sue ragioni, altri due personaggi: il direttore del giornale (la cui presenza è fin troppo ingombrante) e il padre della moglie, i quali lo incalzano a “onorare” il ruolo che gli è stato assegnato. Archetipi di una mentalità passatista e gerarchica, i due non hanno corpo, ma solo voce, quella filtrata e distorta da un microfono utilizzato a turno dai tre attori.
È proprio nel corso di un dialogo con il suocero che il marito svela con rabbia la vera ragione delle sue azioni: lui, con l’amante, ha avuto una figlia. Ma è davvero una valida ragione per giustificare il suo comportamento? Meglio chiederlo agli altri, in un’inchiesta a che esplora (neanche a dirlo) il concetto di famiglia.
Le registrazioni delle interviste — raccolte dallo stesso Michele Di Giacomo nelle fasi preparatorie dello spettacolo — aprono una finestra sull’oggi e anticipano il momento della manifestazione in difesa della famiglia tradizionale a cui il marito partecipa per raccogliere gli ultimi materiali necessari alla chiusura dell’indagine. Ne uscirà completamente schiacciato — fisicamente e interiormente — dall’opinione della folla che si distorce sui monitor in ossessione interiore. Sugli schermi, insieme alle interviste di politici e persone comuni, le foto delle “famiglie modello” di oggi (dai Ferragnez ai reali d’Inghilterra) scorrono sempre più veloci fino a creare un corto circuito.
Ma non ci sono soltanto queste ipocrisie ed estremismi da cui guardarsi le spalle: ecco che le luci puntate sulla platea chiamano in causa tutti coloro che si trovano inevitabilmente nella condizione di giudicare.
Sempre più frequenti si fanno quindi gli accenni meta-teatrali che, oltre a richiamare l’universo pirandelliano, preparano all’ultimo atto del dramma: basta finzione — ci dicono gli attori — chiediamo a coloro ci guardano da tutto il tempo, quale sia la ragione più giusta.
Michele Di Giacomo, che, oltre alla regia, cura la drammaturgia insieme a Riccardo Spagnulo, mette a sistema un copione quasi del tutto fedele al dramma di Pirandello con riflessioni profonde su aspettative e modelli che ci condizionano più di quanto ci saremmo aspettati. Il valore assoluto della famiglia, intesa nella sua equivalenza con la casa e i figli, pesa meno oggi che nel secolo scorso? Com’è possibile che l’opinione comune sia rimasta ancorata a modelli ipertradizionali? E quanto ancora le convinzioni degli altri, seppur superate, influiscono sulle nostre scelte?
Gli schermi sulla scena parlano chiaro: quando l’amante diventa “madre” e il marito “padre”, la moglie non è più nulla. Quel vuoto racconta tutta la sofferenza e l’umiliazione della donna che, per recuperare la dignità perduta, decide di riappropriarsi non del “marito” bensì del “padre”. Solo in questo modo il diritto verrà ripristinato, lo scandalo insabbiato e si potrà tornare a occupare il proprio posto in platea, insieme a tutti gli altri.
Camilla Lietti
Per la ragione degli altri
Un tradimento di Pirandello
tratto da La ragione degli altri di Pirandello
regia Michele Di Giacomo
riscrittura di Michele Di Giacomo, Riccardo Spagnulo
con Giorgia Coco, Michele Di Giacomo, Federica Fabiani
visto al Teatro Filodrammatici_26 febbraio – 3 marzo 2019