Nell’alternanza luce-buio che apre Physics and Phantasma, pungente assolo dell’attore/performer svedese Iggy Lond Malmborg, appare, su parte del fondale scenico, la proiezione di un vuoto e diafano rettangolo bianco che sembra duplicare il palco nudo d’inizio spettacolo. Nessuna presenza ‘fisica’ d’attore si mostra alla platea, ma parole fuori scena la evocano. “Eye, fingers, …”: il pubblico inizia così a immaginare dalle parole il corpo dell’attore e il gioco dura fino a quando lo vede comparire reale sul palco e lo segue, mentre si racconta, nel silenzio, attraverso gesti minimi. Nelle parole Malmborg pone il centro gravitazionale del suo spettacolo, la fantasia (termine che in greco significa ‘creazione di immagini’): la sfida di questo monologo è infatti quella di indurre il pubblico a creare immagini, a partire dalle parole pronunciate sul palco. La voce in scena descrive innanzitutto il pubblico così come lo osserva, ogni spettatore è stimolato a immaginare se stesso nella situazione in cui si trova, a immaginare qualcosa che riconosce come reale, ma anche come ‘personaggio’ della narrazione. Da qui lo spettacolo segue una progressione: l’attore comincia a evocare altre immagini, altri personaggi, che restano in un primo momento solo creazioni della fantasia. Il gioco consiste nel fatto che queste figure, alla fine, si materializzano sulla scena. L’attore dunque, non ha inventato niente, la sua era solo mimesis con le parole della realtà. Ma è davvero così? Le visioni della fantasia e la realtà – da cui traggono o no ispirazione – si confondono. Le immagini che nascono dalle parole diventano reali e così il ventaglio – che Malmborg evoca in scena come ‘parola’, descrivendo il pubblico in sala che lo muove in una calda sera di settembre – d’un tratto si materializza ‘reale’ nelle mani degli spettatori, portato da persone che arrivano in platea: spettatori reali o spettatori fittizi, dunque personaggi?
E così una donna matura, che creiamo nella nostra fantasia attraverso le suadenti parole di Malmborg, “colta, fascinosa”, che è solita camminare con “i tacchi sul parquet”, prende corpo: si avverte la sua presenza in teatro dal rumore di passi lenti su tacchi alti e la fantasia del pubblico fa i conti con lei che, solo immaginata, attraversa la platea, sale sul palco e non più ‘phantasma’ pronuncia parole che però si accordano alla visione che Malmborg ha creato su di lei: “nessuno è mai contento come quando sogna la felicità futura”. E di nuovo, “again”, un altro personaggio al limite tra realtà e immaginazione, un ragazzino grassoccio, dal linguaggio banale che, proprio nel modo di esprimersi, lascia intravedere la radice del desiderio dichiarato della violenza e la conseguente pratica della banalità del male. All’indagine su questo punto nevralgico della coscienza dell’uomo, Malmborg dedica una parte consistente dello spettacolo, e lo fa assumendo diverse facce. Da esagitato in preda a una imminente perdita di controllo, dichiara: “per capire la violenza dobbiamo averla provata” e, soprattutto, scava nei suoi meandri bui in un monologo serrato e senza cedimenti patetici né retorici: “ho una fantasia ricorrente”, quella di essere stato “violentato da bimbo”, di aver subito “lesioni irreparabili”. “Non so chi sia questo stupratore pedofilo. A volte penso di essere io da adulto”. La descrizione dello stupro è analitica, piena di angoscia, spietata, dura. È un luogo della fantasia che non si vuole percorrere però, allo stesso tempo, non se ne può fare a meno perché “è solo la consapevolezza delle cose che può vaccinarci contro di esse”.
In Physics and Phantasma questi quadri si susseguono e si intrecciano all’interno di una cornice che chiama costantemente in causa il pubblico, di cui Malmborg si fa ironico osservatore/spettatore, non una volta per tutte ma “again”, parola chiave che, ripetuta fino a diventare divertente ossessione, introduce variazioni minime, tuttavia sostanziali, man mano che si sviluppa l’interazione con i presenti in sala. Inoltre, gli stessi quadri, montati con rigore, sono animati da intriganti colpi di scena, alcuni dei quali particolarmente efficaci anche per l’impiego di espedienti tecnici, come la presenza e l’assenza della luce, che accompagnano le varie accensioni della fantasia e le sue possibili apparizioni – phantasma – in scena e, d’altra parte richiamano anche l’elemento ‘fisico’ – physics –indispensabile affinché il teatro (dal greco theaomai, “guardare, essere spettatore”) possa farsi (“abbiamo bisogno che tutte le lampade siano accese”). Certo questo non è il solo ingrediente perché – dice Malmborg – sono necessarie, in scena e in platea, anche la “forza di gravità” e la “conservazione di energia”. Le questioni poste da questo monologo intrigante, stringente, circolare sono le grandi questioni del teatro: cosa evoca la parola teatrale? Mondi immaginari oppure realtà? La mimesi è un’imitazione della realtà oppure, diversamente, la creazione di una realtà? Ma poi, in fin dei conti: esiste una realtà?
Raffaella Viccei
Physics and Phantasma
di e con Iggy Lond Malmborg
drammaturgia di Erik Berg, Johan Jönson, Maike Lond Malmborg
visto nell’ambito di Tramedautore al Piccolo Teatro Grassi di Milano_il 16 settembre 2017.