di Simon Stephens | traduzione Francesco Lombardo, Francesco D’Antoni |  con Fabrizio Lombardo


Fabrizio Lombardo ci racconta la vita di un altro con tanta naturalezza che pare un’autobiografia. Un uomo vive in Francia, insieme a sua moglie Helen e alla loro bambina Lucy. Viene spesso nominato anche il nonno materno di Lucy, che il protagonista stima molto e al quale è affezionato. Entriamo così in una serie di quadri e scene che ci appaiono chiari e luminosi, come sotto la luce del sole. Il legame profondo con la moglie, l’amore per la figlia, lo stupore per la bellezza della routine quotidiana. E non mancano le domande esistenziali: «Dio esiste? E se esiste, è un uomo? O forse è una semplice idea?». Un monologo denso come una distesa d’acqua, nelle cui pieghe traspaiono dubbi, domande e confessioni. Siamo uditori, più che spettatori, l’attore dialoga con noi e ci sentiamo partecipi della sua storia. Ha avuto bisogno di raccontarla e noi siamo lì davanti a lui, illuminati dalle luci del teatro, come fossimo sullo stesso piano. All’improvviso, in una giornata assolata sulla spiaggia, ogni cosa si rompe. Un equilibrio che sembrava ormai inalterabile si guasta per sempre. Anche il ritmo della narrazione subisce un mutamento, rallenta, frenato dall’incredulità. C’è commozione, rabbia e dolore: il fallimento di un patto di presenza e protezione. Sotto calma piatta della superficie del mare si nascondono abissi e precipizi di cui non conosciamo le profondità. 

Serena Pozzi


La voce del narratore ci accompagna nel fluire, apparentemente casuale, dei suoi ricordi. Un aneddoto ne riporta a galla un altro, e poi un altro ancora, tutti accomunati dall’ombra di una risata e accompagnati da un sorriso felice e compiaciuto. Nello spazio intimo e privo di scenografia della Cavallerizza, ci sembra di intravedere uno scorcio di serena vita familiare: una moglie di cui il protagonista è pazzamente innamorato, una figlia che è la sua gioia, vacanze nel sud della Francia per andare a trovare il suocero, un uomo apparentemente burbero ma con cui il narratore riesce facilmente a stabilire un contatto. Contendendosi affettuosamente le donne di famiglia, i due diventano quasi un padre e un figlio. È una vita che risplende della luce calda del sole mediterraneo e del tepore di una serena quotidianità, facile da immaginare. Inaspettatamente, nella vivace e intenerita concitazione del racconto, il gelo. La voce del narratore si pietrifica e si spezza, lasciando spazio al vuoto incolmabile della perdita. L’attore Fabrizio Lombardo offre la sua voce per esplorare questa assenza, come se si trattasse della sua storia personale; poco importa, in questa modalità così vicina allo story-telling, che si tratti di un testo letterario tradotto e riadattato. Il tentativo di dare voce a un’esperienza indicibilmente dolorosa non può che avvalersi di storie, aneddoti di contorno, parole preliminari. È un vuoto insondabile, avvolto nel tepore familiare di una vita qualunque.

Chiara Carbone