Il fatto che alla presentazione del libro Il pubblico in danza. Comunità, Memorie, Dispositivi, per Scalpendi Editore, l’uditorio sarebbe stato chiamato in causa, lo si poteva intuire fin dall’inizio: Stefano Tomassini, che modera l’incontro, e gli autori Maddalena Giovannelli, Francesca Serrazanetti e Lorenzo Conti, sono seduti davanti al tavolo posizionato per l’occasione al centro della sala Bausch dell’Elfo, rompendo così da subito la distanza coni presenti.
Il punto di partenza della discussione, sottolinea Tomassini, potrebbe essere la costatazione che Alessandro Pontremoli fa nell’introduzione al volume: in Italia non esiste un solo teatro costruito appositamente per dare il giusto spazio ai danzatori. Ha senso allora ragionare sul pubblico in danza? Assolutamente sì. In primis perché – e forse qualcuno si stupirà! – un pubblico in danza esiste, secondo perché è proprio sulla relazione danzatore-spettatore che questa disciplina performativa ha maggiormente sperimentato negli ultimi anni. Con indomabile parlantina Tomassini passa in rassegna le “grandi acquisizioni” del libro: in primo luogo l’aver posto il pubblico come questione da affrontare e risolvere; in secondo luogo l’aver selezionato come scenario d’indagine il panorama nazionale della danza contemporanea, quasi sconosciuta all’estero; in terzo luogo l’aver mostrato come i processi di inclusione tra danzatore e pubblico si contaminino con il tessuto urbano, rendendo la danza contemporanea connettivo di comunità tra loro differenti.
Nella loro indagine, gli autori hanno preso in esame alcuni casi di studio, arricchiti da alcune interviste ai protagonisti della scena contemporanea. Un’analisi mirata che ha consentito di ragionare sulle nuove attese del pubblico, oggi sempre più protagonista di un atto performativo che fino a pochi decenni fa era invece percepito come qualcosa di lontanissimo, perfetto, irraggiungibile. A popolare la scena e a muovere l’interesse dei coreografi sono oggi i corpi imperfetti di non professionisti, che permettono di tornare alla spontaneità e alla verità del gesto e ripensare la danza nella sua interezza. Lontana quindi dall’essere forma di intrattenimento, il cui godimento risiede nel puro fatto estetico, la danza nazionale contemporanea partecipa a pieno diritto alla produzione di un nuovo sapere. E in questo senso le parole di Maddalena Giovannelli risultano particolarmente significative: «La relazione con il pubblico va intesa ora più che mai in senso qualitativo e non quantitativo; è grazie a questa relazione che si può parlare di comunità, inclusione ed universalità». Lo scopo è infatti ripensare il nostro stare e il nostro vivere i luoghi, rivendicare l’attenzione al corpo e all’altro. Un obiettivo ambizioso, ma necessario per la creazione di uno spazio concreto dove, come diceva Aristotele, poter esternare il nostro essere “animali politici”: ovvero nato per la condivisione di idee ed esperienze nell’incontro reale con l’altro.
Agnese Di Girolamo e Alice Strazzi
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview