Cosa tornerebbe a dirci la memoria dei nostri cari se i lutti di chi ci circonda potessero aderire ai nostri? Cosa significherebbe condividere il ricordo, una volta che cessa di essere nostra proprietà esclusiva? Ci sorprenderemmo di quanto abbiamo dimenticato di noi stessi?
A convergere con questi interrogativi è Arturo, spettacolo di e con Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich: una compagnia giovane – lei regista, lui drammaturgo – alle prese con l’esigenza di parlare con e insieme al pubblico, affidandosi a un linguaggio che vada oltre a quello attoriale, così che l’interazione prenda il posto dell’interpretazione. I due danno vita a un gioco teatrale denso quanto coinvolgente che, a partire dalla scenografia, si muove nei dintorni di una parete vuota, nel tentativo di poterla riempire tramite la sovrastimolazione dei ricordi di tutti i presenti al Dulcis in Fundo, spazio di Nolo e palcoscenico del FringeMi.
Fin dall’inizio è chiaro come la coppia si posizioni al nostro fianco nel trattare la tematica della perdita, esponendoci a una fragilità così inconsueta quanto splendidamente dialettica. Ad attraversare la sala è infatti la necessità di confidarsi nella maniera più immediata possibile, aprendo i discorsi al coinvolgimento del pubblico: la scelta, chiamando in causa meccanismi comprensibili a tutti senza risultare mai banale, produce un effetto vivificante, capace di attirare le esperienze di ciascuno in una rete di esistenze comuni, che risuonano l’una nell’altra. Agli spettatori viene chiesto di scrivere in segreto una possibile risposta alla domanda «che cos’è un padre?»; solo successivamente si capirà quanto i fogli con le confessioni, così come le sezioni di cui è composto il fondale – veri e propri pezzi di un puzzle, il cui ricomporsi scandisce il discorso sui papà degli interpreti, venuti a mancare – articoleranno assieme un unicuum di esperienze, come fossero degli ingranaggi di significati. Questa condivisione non risponde soltanto alla necessità di restituire l’accadimento scenico all’osservatore, ma mette in luce quanto la memoria possa ancora educare, quando diventa un’occasione pubblica di reciproca comprensione: è parlando del lutto apertamente che ciò avviene, allontanandosi da quell’universo costellato da metafore incomplete e retoriche scontate che ci è stato insegnato fin da piccoli.
Le testimonianze, il “ludos”, le lacrime, allo stesso modo degli sguardi perplessi, impegnano le fragilità di Nardinocchi e Matcovich, dando forma alla temperie emotiva da cui il pubblico è trascinato. E non si deve aver perso qualcuno per sentirsi chiamati in causa: sono quegli eventi di cui non ci si accorge, l’invisibile quotidiano che ci lega ai nostri cari, i luoghi dove Arturo dimostra di essere una terra d’incontro per la piccola comunità del Dulcis in Fundo, quella che cambia ogni sera. Tale variabile, associata alla mutevole combinazione delle scene, crea percorsi diversi di sera in sera: la divertente quanto tenera relazione che si genera tra le parti sarà unica a ogni replica, a evidenziare come l’opera, a seconda delle anime che compongono il pubblico, si trasformi sempre in altro da quanto è in origine.
Conclusosi il puzzle scenico, sul retro delle tessere vengono abbozzati due volti anziani, come fossero ingenue caricature tra Daumier e Giacometti: tenui ritratti dei padri che, nei loro lineamenti inafferrabili, ci consentono di scorgere i nostri. A delinearsi è dunque un tessuto eidetico e verbale di qualcosa che appartiene a tutti, costituendo un intreccio di emozioni capace di delineare un collage di affinità non viste.
Gli applausi commossi accompagnano Laura e Niccolò mentre si inchinano, per quanto l’imbarazzo nei confronti della convenzione li porti a interrompere velocemente la platea; preferiscono piuttosto ringraziarci a voce per questo meraviglioso scambio.
Leonardo Ravioli, Francesca Rigato
foto di copertina: Simone Galli
ARTURO
di e con Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich
scena Fiammetta Mandich
suono Dario Costa
luci Marco Guarrera
illustrazioni Margherita Nardinocchi
grafica Clarice, Simone Galli
foto Simone Galli, Elisa Nocentini
assistenza e cura Anna Ida Cortese
produzione Florian Metateatro, Rueda/Habitas
con il contributo di Associazione Scenario || Teatro Due Mondi || ACS – Abruzzo Circuito Spettacolo || Centro di Residenza della Toscana (Armunia Castiglioncello – Capotrave / Kilowatt Sansepolcro) || residenza produttiva Carrozzerie | n.o.t. con il sostegno di Teatro di Roma – Teatro Nazionale
vincitore Premio Scenario Infanzia 2020 ex aequo finalista Premio In-Box 2021
Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2022