Letter to a man _ CrtMilano, 11-20 settembre 2015
Odyssey_ Piccolo Teatro, 6-31 ottobre 2015
La corsa a riempire i palinsesti per gli ultimi mesi di Expo ha portato, se non spettatori stranieri, almeno qualche ottima opportunità per il pubblico milanese. Non ultima quella di incontrare per ben due volte il lavoro di Robert Wilson, considerato (a buon diritto) un vero e proprio mostro sacro della scena internazionale. Anche in questo caso gli spettacoli programmati ne confermano, se ce ne fosse bisogno, l’ampiezza di prospettive e la versatilità.
Per quasi tutto ottobre (dal 6 al 31) sarà in scena al Piccolo Teatro la travolgente e visionaria Odissea che aveva incantato Milano nel 2013 (ne abbiamo scritto su Stratagemmi e su Doppiozero); se avete perso l’appuntamento allora, vi suggeriamo di non commettere la stessa leggerezza una seconda volta. Vi troverete di fronte a un fiume in piena di quasi tre ore, un vortice di immagini, musica e parole, capace di restituire il piacere atavico dell’ascoltare una storia ben raccontata.
Ben lontano dalle atmosfere leggere e affabulatorie di Odyssey, è invece Letter to a man, presentato al CrtMilano dal 11 al 20 settembre davanti a una platea sempre gremita. Si tratta del resto dell’incontro tra due giganti: lo spettacolo, applaudito a Spoleto a luglio 2015, è l’esito di un’ideazione congiunta tra Wilson e Mikhail Baryshnikov, nome così noto da diventare antonomasia vivente della grande interpretazione coreutica. Ma chi si aspettava un’esibizione d’autore è rimasto deluso: Letter to a man è piuttosto la discesa negli inferi della mente umana, un viaggio attraverso i tormentati diari del ballerino russo Vaslav Nijinsky portato alle ribalte di San Pietroburgo a inizio secolo.
Come ha saputo fare magistralmente Darren Aronofsky con il Cigno nero, Wilson e Baryshnikov indagano qui il lato oscuro del talento, la scissione tra un corpo prestante e performativo e una mente debole, l’abisso a cui può condurre una sensibilità troppo pronunciata, la progressiva perdita di contorni del reale. E se Aronofsky mette a punto una vertiginosa accelerazione di ritmi e spaesamenti, Wilson gioca, al solito, sulla costruzione di una scena pulita e geometrica: rovesciamento ossimorico del disordine mentale del sofferente Nijinsky. Le frasi disperate e impronunciabili rubate al diario del ballerino (“Sono un essere umano non una cosa”, “non sono Cristo”, “Sono nella direzione dell’abisso”) vengono reiterate all’infinito, scandite, rarefatte, cadono sullo spettatore come uno sgocciolio costante, implacabile, dalla forte eco.
Il risultato è straniante, e non deve stupire se a molti spettatori è parso fin troppo algido e ripetitivo; ma non è forse privo di importanza che a prestare la propria intelligenza ai deliri di Nijinsky siano proprio due star internazionali di lungo corso, che ben conoscono derive e pericoli della troppa abitudine ai riflettori. A emergere sul palco, poi, è l’incontro di due estetiche in profonda sintonia: ai gesti controllati del carismatico Baryshnikov, al quale basta muovere una falange per cambiare l’assetto della scena e l’attenzione del pubblico, fa da perfetto contraltare il proverbiale minimalismo del regista texano. Dalle spettrali finestre a grate di Letter to a men fino agli ironici mostri di Odyssey, Wilson si conferma straordinario maestro di rigore, capace di adeguare il registro all’oggetto senza perdere la riconoscibile – e acclamata – identità stilistica.
Maddalena Giovannelli