Due personaggi attraversano la scena partendo da lati opposti, arrivati al centro si sfiorano ma non si guardano davvero. In sottofondo, un cuore che batte: o è l’allarme di una tragedia imminente? Sono i primi flash, letteralmente, di Una vera tragedia, di Riccardo Favaro e Alessandro Bandini, prima internazionale andata in scena al Teatrostudio del LAC il 13 e il 14 ottobre in chiusura del Fit, il Festival internazionale del teatro.

In tre piani temporali diversi, un “dopo”, un “prima”, e un “ancora prima”, i due autori indagano rapporti umani fra i più elementari: quello tra moglie e marito e quello tra genitori e figli. Inizialmente in scena solo due personaggi, una Madre e un Padre, indicato come Vater, nel loro salotto sommariamente arredato con pochi mobili, molto distanziati tra loro. In attesa del Figlio, i due riempiono il tempo con discorsi superficiali e futili: il resoconto, o piuttosto il sogno perverso, raccontato da Madre, ambientato in un supermercato dove tutto è perfetto; i sospetti di Vater sull’infedeltà della moglie; continue promesse di amore e protezione; pettegolezzi su scandali internazionali. Mentre la coppia si aggiorna sulle catastrofi del mondo, però, non si accorge che la tragedia si sta già consumando all’interno delle mura domestiche, e forse, ancora di più, dentro di loro.

Sul fondo della scena, infatti, uno schermo proietta dei “sottotitoli”, imponendo la sua presenza come vero protagonista dello spettacolo. Inizialmente il testo coincide con le battute dei personaggi, oppure ne sottolinea il tono e l’intenzione. Poi Madre, seguita poco dopo dagli altri, ne scopre la presenza dietro di lei. Incapace di esplicitare ciò che i personaggi provano davvero, il meccanismo diventa ingombrante, una presenza scomoda, e man mano che le didascalie continuano il loro corso, i personaggi scelgono di ribellarsi a un destino preconfezionato, rimanendo in silenzio e rendendo incolmabile il vuoto sulla scena e tra di loro.

A complicare le cose, al posto del figlio si presenta un Ragazzo, più un fantasma che un personaggio reale, il quale di volta in volta incarna le perversioni o i sogni repressi di Madre, mandandone in frantumi la già fragile identità. È ormai la conferma che i sogni che la coppia aveva sono rimasti fuori dalla porta e il dramma è destinato a consumarsi sulla scena.

Alla prima collaborazione, Favaro e Bandini hanno creato uno spettacolo teso e intenso, recitato da una compagnia giovane, ricco di molti, forse troppi, spunti di analisi. Una riflessione sul tragico, a cui rimandano la scelta del titolo e la presenza del tema del sacrificio, accompagnata da una sperimentazione sul linguaggio drammaturgico, un gioco sulla rappresentazione. È infatti il rapporto tra i personaggi e il meccanismo scenico che nutre la dimensione tragica. Il testo, direttamente presente sulla scena per mezzo di uno schermo, artefice e osservatore delle azioni dei personaggi, ci suggerisce che il finale della vicenda sarà lo stesso, che i personaggi si comportino come indicato dallo schermo oppure no. Ma, appena la Madre sceglie di non assecondare il dispositivo scenico, appare chiaro che la proiezione, i suoni e le luci abbiano lo scopo di riempire il vuoto lasciato dai personaggi, le incomprensioni e l’incomunicabilità.

Questi elementi scenici così forti sembrano dirci che la tragedia, oggi, non è più rappresentabile, perché è tutta dentro di noi: essa è la crisi dell’identità, la perdita di certezze, la confusione, che però la società ci vieta di rivelare. Per questo motivo non si può che avvicinare la tragedia con ironia, come una mancata commedia. È quanto suggeriscono il titolo e le risate prese dal mondo delle sitcom televisive, che talvolta irrompono in scena a commentare le azioni dei personaggi. In tutto ciò lo spettatore è estraniato, testimone silenzioso di un dramma familiare intimo e universale, che non comprende mai fino in fondo. E forse non vuole neanche capire, visto che i personaggi riflettono il nostro lato più oscuro, quasi una sorta di rimosso: inquieti, angosciati e smarriti, non sanno più chi sono, non riescono a parlarsi e quando ci provano le loro parole si trasformano in pura violenza.

Lo spettacolo fa riflettere molto sul ruolo che oggi assumono le parole. In un mondo costantemente connesso, parliamo, scriviamo, commentiamo senza dare vera importanza alle parole che usiamo, senza assumercene la responsabilità, senza comunicare mai davvero. E alla fine, per citare una famosa espressione di Sherry Turkle, «siamo insieme, ma soli». E forse la vera tragedia sta proprio nell’incomunicabilità dell’era contemporanea: comunichiamo continuamente, ma il dolore, la tragedia, si consumano in privato, sotto le parole.

Gaia Caruso


Una vera tragedia
di: Riccardo Favaro
progetto e regia di: Alessandro Bandini, Riccardo Favaro
con lo sguardo esterno di: Carmelo Rifici
con (in ordine alfabetico): Alessandro Bandini, Flavio Capuzzo Dolcetta, Alfonso De Vreese, Marta Malvestiti

visto al LAC di Lugano in occasione del FIT Festival 2020_13-14 ottobre 2020

Contributo pubblicato nell’ambito del progetto: