Regia di Fabrizio Parenti

Visto all’Out Off di Milano _ 5 -17 ottobre 2010

La notizia, su “Time” del 25 ottobre, è incoraggiante: dopo anni di deludenti sperimentazioni sui vaccini e collaudi di inefficaci farmaci, sembra che gli scienziati abbiano finalmente al vaglio diverse nuove strategie per bloccare la malattia che ruba la memoria, giusto in tempo per anticiparne l’irreversibile esplosione.

Oggi il tema Alzheimer è all’ordine del giorno, quanto per i medici tanto per i pazienti e i loro familiari. Il morbo per il quale non esiste ancora una cura certa colpisce più di 5 milioni di persone negli Stati Uniti, un dato che salirà a più di 13 milioni nel 2050. Da più parti si comincia a squarciare il velo di ignoranza, mista a una quasi omertà, che circolava intorno alle conseguenze della sindrome che espugna i ricordi e annebbia le fantasie, cancella i nomi e precipita nell’oblio.

Oggi si sente il bisogno di sapere, per affrontare preparati i momenti più duri della malattia; di condividere, per non affogare nel dolore di vedere una madre o un padre che non riconoscono più i loro figli; di parlare, prima che l’angoscia chiuda il cuore di chi sopporta per anni il decadimento e la regressione dei propri cari.

Oggi libri, film, testi teatrali si occupano di Alzheimer. Per esempio, affronta il tema l’ultima pellicola di Pupi Avati, “Una sconfinata giovinezza”, nelle sale in questi giorni. Ne parla “Perdersi” (Piemme edizioni), il best seller della neuropsichiatra americana Lisa Genova: il racconto della discesa nell’oblio di Alice, professoressa ad Harvard, donna tutta d’un pezzo colpita dall’Alzheimer precoce.

Lo indaga anche il giovane (classe 1981) drammaturgo milanese Davide Carnevali con “Variazioni sul modello di Kraepelin (o il campo semantico del coniglio in umido)”, testo vincitore del premio Riccione Marisa Fabbri nel 2009, in cartellone all’Out Off di Milano dal 5 al 17 ottobre.

In scena, un padre, un figlio e lo spettro della malattia (che non viene mai dichiarata) compagna di ore, giorni, mesi, anni di vita che si confondono nell’attesa di un epilogo liberatorio che non arriva e non può arrivare. Le frasi si ripetono, i ruoli si scambiano, le situazioni si mischiano, il viaggio tra passato e presente si fa talvolta frenetico, talvolta si spiega a rallentatore, mentre la pallida controfigura del dottor Emil Kraepelin, collega di Alzheimer, lo scienziato scopritore della demenza senile, si insinua tra malato e sano, giocando con loro al tavolo della memoria e della confusione.

L’altra protagonista è la Storia, anche questa rappresentata come una sbiadita gemella dell’originale dei libri di scuola. Perché nel groviglio dei fatti che non possono più essere oggettivi, nel disordine dei volti che non hanno più nomi, nell’album di fotografie che si disintegra davanti a occhi che non sanno più riconoscere, anche la ricostruzione degli eventi che tutti credono di sapere non è più certa. La Storia è uno schermo bianco sul quale scrivere, al quale appellarsi, del quale farsi beffe.

La forza dello spettacolo sta nel linguaggio che Carnevali si inventa per narrarla: poetico e corposo insieme, un saliscendi di immagini che si tramutano in concetti, concetti che ritornano alla forma di immagini, mentre i registri si mescolano e il sommesso dialogo tra padre e figlio delle prime battute si trasforma in un assolo disperato alla ricerca di un centro gravitazionale e oggettivo, così come di una coerenza linguistica. E così la storia di una fidanzata immaginaria viene ripetuta all’infinito, come un’inquietante filastrocca che scandisce epoche e sogni di una vita, tramutandole in ossessioni beckettiane e operando lo slittamento semantico richiamato nel titolo.

La regia di Fabrizio Parenti, che in scena è anche il dottor Kraepelin, pur rigorosa e pulita, poco aggiunge al lavoro di Carnevali, già denso per contenuti e scrittura, esatto nei tempi, mai strabordante di autocompiacimento. Convincente la scenografia di Paola Tintinelli: un ambiente scarno, costruito con punti di incontro come una panchina e un tavolo, decorata da un giardino-labirinto dove perdersi e ritrovarsi. Uno spazio–tempo pronto a dilatarsi e contrarsi come le sensazioni che suscita. Commoventi gli attori, Alberto Astorri (il padre) e Walter Leonardi (il figlio).

Francesca Gambarini