Il teatro come medium per comprendere e approfondire la realtà: questo è il fil rouge dei contributi di questo numero, che spaziano dall’interpretazione della storia politica – moderna e contemporanea – alle riscritture dei classici in contesti culturali e sociali differenti, dall’Italia di Pasolini, ai Balcani, alla Grecia dei giorni nostri. Profonda è la traccia rimasta nei testi e nelle rappresentazioni della figura e delle istanze politiche di Lodovico il Moro, signore con cui Milano si protende verso l’età moderna: proprio alla sua committenza si deve il rifiorire teatrale in questo luogo-chiave nell’Italia del XV secolo. Riletture e rappresentazioni di Medea e del mito degli Argonauti fioriscono nei territori della ex Jugoslavia a cavallo tra secondo e terzo millennio: attraverso l’archetipo, riflettono fedelmente gli orrori delle guerre appena trascorse, le contraffazioni e manipolazioni delle pseudo-democrazie postcomuniste e la lotta per superare divisioni etniche e religiose, alla ricerca di un’identità jugoslava non più politica ma culturale. Il drammaturgo uruguagio Sergio Blanco utilizza l’archetipo di Cassandra – la sacerdotessa di Apollo vittima della faida famigliare degli Atridi – per raccontare l’Atene del XXI secolo, città simbolo di identità frammentate nelle quali si realizza l’apparentemente inconciliabile convivenza di antica grandezza e moderna decadenza, eternità del mito e della classicità e dozzinalità della cultura capitalistica post-industriale (e postmoderna). La traduzione di Pasolini dell’Agamennone eschileo è il punto di partenza di un lavoro di Pietro Conversano, recentemente allestito nell’anfiteatro romano di Ancona: la potenza della parola in sé è, in questo caso, lo strumento con cui il testo classico può essere recepito nella sua essenza. Infine due contributi curati dall’associazione Quinto secolo riflettono sulle criticità della rappresentazione del teatro antico a partire dall’esperienza del ciclo di incontri “I classici a teatro”: anzitutto la traduzione, che si deve confrontare con le necessità della messinscena – gusti, abitudini e cultura del pubblico di oggi – e dell’interpretazione del testo. Poi il lavoro drammaturgico e registico, alla ricerca di soluzioni di recitazione e di scenografia che possano rendere potenza e peculiarità di un teatro caratterizzato da estrema verbalità (a discapito dell’azione) e dalla dimensione corale, un qualcosa che oggi sembra impossibile persino compredere appieno.