Come deve essere rappresentato il mito sulla scena? Riattualizzato, trasposto nel presente? Oppure distante, inattingibile? Cassandra, Ifigenia, Agamennone, ad esempio, sono nomi adatti sulla scena per personaggi contemporanei, oppure restano e devono restare caratteri senza tempo, maschere nude di simboliche vicende del vivere? Bertolt Brecht optava per la seconda via: il mito resta mito nella sua metaforica lontananza e nell’ indeterminatezza cronologica. Sta al pubblico stabilire analogie col presente: in questo senso il mito ‘insegna’. La storia del teatro novecentesco, però, è segnata da sperimentazioni contrarie, nelle quali i personaggi antichi servono da involucri per situazioni moderne.

Torna in scena Cassandra di Christa Wolf

A confermare l’attualità di un testo tanto amato quanto difficile e del mito che ne è all’origine, a Milano è tornata in scena in duplice versione Cassandra di Christa Wolf (1983): una produzione del Teatro dell’Elfo interpretata da Ida Marinelli per la regia di Francesco Frongia (dal 5 al 23 marzo 2014) e il collaudato spettacolo di Farneto Teatro, Verso Cassandra. Da Omero a Christa Wolf, con Elisabetta Vergani (dal 26 al 30 marzo).
Dal mito si è esponenzialmente lontani: in scena non c’è la Cassandra di Eschilo ma la Cassandra ripensata, rivissuta, trasformata dalla scrittrice tedesca più famosa dell’ex Germania comunista. Lo spettacolo dell’Elfo lo lascia capire attraverso le frasi in tedesco, della stessa Christa Wolf, che compaiono nella scenografia. Sono profezie sparse, da raccogliere e mettere insieme. Su tutte spicca la domanda: Was bleibt? ‘Cosa resta’?  Nel racconto lungo di Wolf, siamo in presenza di una Cassandra assai contestualizzata: le mura di Troia continuamente evocate in un racconto dallo stile sussultorio, il confine visibile con facilità oltrepassato anche dai ‘nemici’ Greci (che hanno la stessa cultura dei Troiani) per trattative diplomatiche e traffici, è una trasparente mitologizzazione del muro che divideva il cielo di Berlino. La Troia della Cassandra di Wolf è una città-isola, assediata come lo era Berlino est, dominata dalla burocrazia interna e dai servizi segreti, in cui la menzogna della propaganda distorce le verità e la paura strozza ogni libertà individuale: perciò Cassandra, che la verità vede, non viene creduta e vive nell’angoscia dell’emarginazione. Enea, amato da Cassandra, sceglie di andar via e perciò da molti è considerato un traditore: la Wolf racconta così, attraverso il mito, la pericolosa fuga di tanti dal regime comunista al di là del muro, verso l’Occidente: fuga nella quale non solo si rischiava la vita, ma di cui l’approdo era oltremodo  incerto. La libertà resterà forse un miraggio e anche ‘al di là’ regna l’ ipocrisia e la violenza (‘Achille la bestia’). L’apparato statale repressivo della Troia descritta da Wolf rispecchia il capillare controllo poliziesco della Germania comunista e dei suoi funzionari. D’altro canto, la Grecia in cui Cassandra da schiava è un sistema omicida, in cui il male viene dai legami più viscerali, di ‘sangue’. La voce profetica di Cassandra è incomprensibile senza la domanda impellente, che è di Christa Wolf, non di Eschilo, sul ruolo dell’intellettuale, sulla necessità di parlare o di tacere, di denunciare o di accettare il sistema statale (nel quale, del resto, al tempo si era creduto e si continuava a credere con autentica fede marxista).

Cassandra di Farneto Teatro

L’ambiguità che, specie per il pubblico più giovane, si crea tra mito antico e riscrittura del mito è quasi esasperata nello spettacolo di Farneto Teatro dalle stupende percussioni di Danila Massimi, che canta in greco antico passi dell’Iliade e sa creare atmosfere arcaiche, illusionistiche. Non dubito che si tratti di un’ambiguità voluta, che del resto non scalfisce il risultato artistico, dovuto alla bravissima voce recitante di Elisabetta Vergani: la quale riesce a rendere teatrale un testo che non lo è affatto e a coinvolgere il pubblico per più di un’ora. Spogliata però dal tessuto storico in cui il romanzo è stato scritto e concepito, di cosa parla questa Cassandra? Perché rappresentarne il mito?

Il romanzo della Wolf è qui riadattato in maniera tale che Cassandra diventi in primo luogo una voce di resistenza, tanto che si scoprono significative consonanze con la grande figura di ‘resistente’ (nell’interpretazione del ‘900) del teatro greco: voglio dire Antigone. La drammaturgia di Maurizio Schmidt riesce a mettere in evidenza quel che accomuna la Cassandra di Christa Wolf all’Antigone di Brecht (non di Sofocle!), ineludibile punto di riferimento del teatro e della letteratura mitologizzante di lingua tedesca. Antigone e Cassandra sono ‘figlie di re’ e questo segna, nell’ottica marxista, una differenza di classe che le rende irrimediabilmente altre rispetto a quel ‘popolo’ di cui vorrebbero difendere gli interessi. Anzi, le principesse restano potenziali vittime del ‘proletariato’ che attende la rivalsa (Cassandra nella sua prigionia è vessata da una donna che appartiene ‘alla feccia di Troia’). Ambedue hanno un rapporto d’amore morboso ma insieme conflittuale con il padre, dunque col potere, di cui sono in qualche maniera specchio e da cui sono ugualmente amate e respinte in nome della ragion di Stato. Ambedue tutelano i morti della famiglia.
Cassandra (di Wolf) è la sorella che deve curare la sepoltura di Paride, come Antigone di Polinice. Fratelli che, del resto, sono completamente coinvolti nelle trame e nella gerarchia del palazzo. Ambedue comprendono lucidamente le motivazioni puramente economiche delle guerre. Ma soprattutto ambedue, pur partecipi del potere non esitano a smascherarne gli errori e le atrocità, perché dotate di intelligenza politica ma anche di un rigore morale incoercibile. Perciò dicono ‘no’, ‘no’ e ancora ‘no’, un’incrollabile ‘no’, a dispetto della propria vita. ‘Cento volte ho detto di nuovo no, La mia vita, la mia voce, il mio corpo non davano altra risposta. Non ti dichiari a favore? No. Ma tacerai. No. No. No. No.’

Nel romanzo della Wolf, la punizione di Cassandra consiste nella sepoltura da viva, durante la quale però le danno da mangiare perché non muoia di fame: si tratta della medesima punizione di Antigone; la differenza sta nell’esito. Antigone, anche quella di Brecht, si abbandona alla morte, anche perché il potere con cui ha a che fare (Creonte è controfigura di Hitler) porta alla rovina il mondo. Cassandra, invece, nonostante veda che tutto si ripeta, si ostina a vivere: la vita è la terza via che sceglie, con ostinazione, forza, caparbietà rispetto a ‘uccidere e morire’. Tuttavia – portata prigioniera, schiava, in un mondo altro – Cassandra va a morire: anche se nella commossa interpretazione di Elisabetta Vergani tale morte, resa scenicamente con un avviluppo di corde che trascinano in alto la protagonista – è piuttosto privazione della parola, discesa nel silenzio. Non c’è nulla da fare ‘contro un’epoca che ha bisogno di eroi’ – conclude brechtianamente la Cassandra di Wolf.
Nulla, tranne tacere (nell’attesa, però, di recuperare il senso delle parole).

Sotera Fornaro