Propositi per il futuro e la presa di coscienza che un cambiamento profondo è in corso: così si è concluso, il 26 marzo, il primo Festival Internazionale della Regia teatrale, organizzato e ideato da Corrado D’Elia e Alberto Oliva (che ha curato la sezione Fringe del Festival). Sono state tre giornate dense di incontri tra chi del teatro ha fatto e sta ancora facendo la sua professione. Giornate in cui si è cercato di capire dove sia arrivata oggi la regia teatrale e quali prospettive possa avere in futuro, soprattutto in un paese, l’Italia, che con la questione non ha mai avuto un rapporto semplice e lineare. Il confronto tra diverse generazioni di registi, da Gianfranco De Bosio e Luca Ronconi ad Andrée Ruth Shammah, da Serena Sinigaglia a Licia Lanera, fino agli “emergenti” protagonisti del Fringe, ha permesso di inquadrare la ormai conclamata crisi (o morte?) del teatro di regia in una prospettiva che non è solo storica, ma umana. Licia Lanera, fondatrice nel 2006 della compagnia Fibre Parallele, ha portato l’attenzione sulle difficoltà di una nuova generazione di registi che hanno vissuto sulla propria pelle la crisi politica, economica, sociale: portare avanti un disegno di regia è solo una delle infinite attività di un gruppo costretto ad occuparsi di tutto, dalla comunicazione alla contabilità, dalla produzione alla guida del furgone.
Fondamentale diventa allora la capacità di costruire una comunità e un nuovo pubblico: è oggi più che mai necessario – ha sottolineato il critico Giulio Baffi – scoprire e rischiare su nuovi linguaggi, e “portare spettatori a chi non ne ha”.
Si avverte, da più parti, l’esigenza di una forte relazione con la contemporaneità: un teatro interconnesso, cooperativo e cooperato, mai autoreferenziale o ripiegato su sé stesso. Le tecnologie modificano l’essenza dell’irripetibile qui ed ora tradizionalmente legato alla scena: passato e presente si ibridano, i dvd teatrali consentono di vedere e rivedere lo stesso evento più volte, internet apre le porte del teatro a un bacino di utenza potenzialmente infinito e a una partecipazione senza limiti da parte del pubblico.
I tavoli tematici nel corso delle tre giornate di convegno si sono concentrati poi sul confronto coi Maestri, col Novecento e con l’Europa, e sul rapporto tra la regia e gli altri mestieri legati al teatro: quello del drammaturgo, dell’attore, del critico.
Quale relazione con la nuova drammaturgia in un paese che sembra incapace di introdurre nei cartelloni più istituzionali autori contemporanei? I testi di autori italiani rimangono per lo più esperienze marginali: relegati nei centri di sperimentazione, non riescono ad avere accesso alle grandi produzioni. Le più innovative proposte drammaturgiche – ha sottolineato Enrico Groppali, autore e critico teatrale – non sono poi solo di parola: i confini si sfaldano ed è sempre più necessario un approccio interdisciplinare.
Non meno complesso e discusso il rapporto con la critica: il Festival ha messo in luce come il panorama sia in cambiamento, e come il settore stia affrontando la crisi scoprendo limiti e potenzialità. Cosa significa, oggi, fare il critico? Può ancora essere considerato un mestiere che, in quanto tale, merita reteribuzione? È un ruolo destinato a scomparire? Le cose si complicano ma – come ha notato Andrea Porcheddu, giornalista e critico teatrale – “la critica non è morta, è sul web”. Sulla rete scrivono critici vivaci, militanti, cresciuti insieme agli autori loro contemporanei, legittimatisi reciprocamente: “sono emerse alcune testate che si sono affermate come punti di riferimento”, ha ricordato Renzo Francabandera.
Affrontare la crisi reinventando il proprio ruolo: questa la sfida che la regia condivide con la critica. Non solo questa però. L’artista, come il critico, – ha messo in luce Serena Sinigaglia – deve costruire relazioni e deve vivere il proprio tempo “facendosi portatore delle istanze di una società interconnessa”.
Ripensare il ruolo della regia, come è emerso chiaramente dalle giornate di confronto, significa innanzitutto interrogarsi sul ruolo del teatro nella società di oggi. Il teatro non può prescindere dai suoi spettatori e, nonostante la speranza ci sia ancora, nonostante questo Festival sia stato un momento di aperto e utile confronto proprio sulla sua condizione tout court, non si può non sottolineare che, dagli anni Ottanta, nelle grandi città italiane il pubblico è diminuito del 70%. Sono necessarie nuove forme di coinvolgimento, di partecipazione e condivisione per arginare la frammentazione di un pubblico che, se continua a frequentare i grandi Stabili, non riesce più a riempire le sale dei teatri da 50 posti perché nemmeno le conosce. Sicuramente il confronto è importante oltre che necessario, ma le prese di responsabilità, le ammissioni di colpa o i discorsi non portano a soluzioni concrete, a progetti reali per il futuro. Ricostruire un rapporto con il pubblico, riscoprire relazioni tra i mestieri del teatro, interrogarsi sulla relazione tra teatro e comunità: queste sono alcune delle sfide emerse che sarà necessario affrontare a breve.
Camilla Fava