di William Shakespeare
regia di Carmelo Rifici
visto al Piccolo Teatro di Milano_12 Aprile-6 Maggio
 “Rome is a Room”: con questa frase, pronunciata da Massimiliano Speziani nei panni dell’Indovino, si apre il dramma di Carmelo Rifici che mette in scena, per la prima volta, l’opera del drammaturgo inglese. Fa da sfondo un drappeggio rosso sangue, unico elemento colorato di una scenografia grigia, che fa presagire i tragici avvenimenti di cui l’indovino è portavoce. Il palco del teatro Strehler si trasforma così in un labirintico condominio, in chiaro stile ronconiano, ben congeniato da Marco Rossi e dallo stesso Rifici e impreziosito dal bel gioco di luci di A.J. Weissbard.

L’asetticità dell’ambiente insieme alla sceneggiatura che mantiene inalterato, se non con pochi vistosi tagli, l’originale shakespeariano, proiettano il pubblico in un mondo altro, distante. Da un’analisi che punta più all’indagine che a un’attualizzazione sfacciata del testo – così osserva Renato Gabrielli, assistente di Rifici nella drammaturgia – emergono e acquistano spessore personaggi minori come il poeta Cinna, Artemidoro e il calzolaio della scena iniziale. Come a mettere in evidenza che la politica passa – anche ai tempi di Cesare – per volti ignoti alle cronache che però determinano o subiscono il processo politico.
Sono numerosi gli attori sul palco: la regia sembra cercare negli interpreti una tonalità uniforme, estranea ad accenti troppo patetici nel tentativo di suscitare una tensione inquieta. Eppure differenze e dislivelli emergono, specie nelle scene corali: i molti interpreti si muovono di continuo sul palco catalizzando l’attenzione dello spettatore non sempre con una qualità di presenza convincente.

Nonostante alcune scelte interessanti, lo spettacolo sembra mancare di un equilibrio d’insieme in questo e in altri aspetti. Rifici propone un ribaltamento prospettico potenzialmente efficace proprio in virtù della forte connotazione politica del dramma: il pubblico viene portato nella dimensione di “spettatore” di un mondo a lui estraneo. Grazie alla forza dell’antitesi le situazioni di conflitto e i capovolgimenti di potere, sotto forma di inquietanti immagini, si impongono nella loro assoluta attualità nel momento stesso in cui si allontano dalla realtà di cui fanno parte. Eppure questa chiave di lettura non resta coerente, né sempre visibile. Gli stimoli si fanno a volte contraddittori e sovrabbondanti: quando il popolo di Roma chiede spiegazioni sulla morte di Cesare accede al palco dalla platea con un coro di voci che provengono dagli altoparlanti. Ecco che la scelta prospettica del distacco viene a cadere: l’identificazione del pubblico presente con il popolo di allora, prima soltanto suggerita, viene qui e altrove sottolineata in modo pleonastico (così anche nell’uso dei microfoni e delle divise).
L’uso sapiente delle luci, la bravura degli attori di punta, il buon ritmo di alcuni dialoghi, l’efficacia delle immagini finiscono per catturare e convincere più della prospettiva di insieme dell’allestimento, che resta sfuggente e contraddittoria proprio su alcuni dei nodi più problematici del testo.

Camilla Lietti