Il Festival di Atene-Epidauro, vetrina delle novità nazionali, riserva una sezione agli highlights stranieri. Curioso e aperto, il pubblico greco si accalca per applaudire i grandi nomi delle scene internazionali, ma si ha talvolta l’impressione che le compagnie rispondano all’appello senza la giusta dose di audacia, facendo calare spesso dall’alto, per questa platea “periferica”, successi consolidati delle stagioni passate. Così ad esempio Alvis Hermanis (Nuovo Teatro di Riga, Lettonia) ha portato ad Atene Sonja (da un racconto di Tatjana Tolstaja) che in Italia avevamo visto fin dal 2009. Di rilievo le presenze del Baxter Theatre Centre da Cape Town, François Tanguy (Théâtre du Radeau), Young Jean Lee’s Theater Company (New York), e non potevano mancare le She She Pop.

Un discorso a parte merita la Socìetas Raffaello Sanzio, con Go down, Moses (28-30 giugno). I rapporti di Romeo Castellucci con la Grecia risalgono ad alcuni anni fa: il “coup de foudre” era avvenuto nel 2009 con la Divina Commedia (Inferno, Purgatorio, Paradiso), un evento che molti spettatori ricordano come epocale. La compagnia diventa subito oggetto di dibattiti, studi, approfondimenti e nel 2011 torna con il discusso Sul concetto del volto nel Figlio di Dio. Non solo. Il programma di ricerca “Aristeia II” (nell’ambito del National Strategic Reference Framework e co-finanziato dall’Europa, quando non era ancora “matrigna”) è stato vinto nel 2012 dal progetto “ARCH- Archival Research and Cultural Heritage: the Theatre Archive of Socìetas Raffaello Sanzio”. Il team è composto da studiosi di varie Università greche (con la partecipazione anche dell’Università di Stanford e della Sorbona), guidati da Avra Xepapadakou ed Eleni Papalexiou. Il lavoro si svolge presso il Teatro Comandini di Cesena, che accoglie lo sterminato archivio della Socìetas Raffaello Sanzio (materiale drammaturgico e teorico anche inedito, disegni, appunti, fotografie, video di prove e spettacoli, e molto altro): dopo la fase di classificazione e digitalizzazione, sarà creata una banca dati accessibile al pubblico (le informazioni sono disponibili sul sito del progetto). Uno strumento indispensabile per studiare il fenomeno Socìetas.

I responsabili di ARCH, insieme all’Istituto Italiano di Cultura, hanno organizzato quest’anno nell’ambito del Festival una serie di manifestazioni a margine del nuovo lavoro Go down, Moses (28-30 giugno, centro culturale Onassis): un’intensa due giorni con la proiezione di video tratti dalle opere più importanti della Socìetas dagli anni ’80 e un incontro con il regista. Castellucci ha ribadito che essere ad Atene è in qualche modo un “ritorno al focolare delle origini” e ha ricordato come la tragedia antica sia la forma estetica più potente mai esistita: “Per me la Grecia e la tragedia costituiscono il tutto”. Go down, Moses piace alla stampa greca, che commenta con ammirazione la perfetta tessitura di immagini e di segni criptici, perché “il fascino del teatro di Castellucci sta nella sua oscurità” (Ileana Dimadi, Athinorama 30.06.2015). Fra le analisi più acute, Ghiorgos Pefanis (bookpress.gr 04.07.2015) si sofferma sul polo immagine/rappresentazione e sulle simbologie del sotto e del fuori.
Inevitabilmente le risonanze dell’attualità si infiltrano nell’algida struttura. La madre, figura centrale, getta il figlio tra i rifiuti per salvarlo dalla schiavitù – così riferisce al commissario di polizia – perché arrivi il vero salvatore, un Mosè puramente alluso e mai presente. E, ancora, le suggestioni intorno al nucleo concettuale del Vitello d’oro portano a ragionare sul significato del vedere nell’attuale società dell’immagine, ma anche sulle minacce più concrete della schiavitù al dio Denaro.

In un’intervista (Niki Orfanoù, EF 25.06.2015) Castellucci spiega che in questa nostra società globalizzata “stiamo vivendo la stessa situazione degli Ebrei della Bibbia in Egitto. Siamo schiavi, e abbiamo bisogno di un altro Mosè per la salvezza”, anche se non ci sono margini per la speranza. Qualche giorno dopo, nell’incontro con il pubblico, incalzato da Stella Charambì (to spirto 30.06.2015), Castellucci vince la sua ritrosia e svela un possibile legame con l’oggi: “Il titolo dell’opera, tratto da uno spiritual, parla della schiavitù e del timore di perdere la libertà. Si tratta di una schiavitù invisibile. Non mi aspettavo che questa paura strisciante si sarebbe concretizzata proprio qui in Grecia dove porto lo spettacolo. L’opera è un grido esistenziale che continua a inviare un SOS. «Tell all Pharaohs, let my people go» dicono i versi e ciò rinvia ai momenti drammatici che sta vivendo il vostro Paese in questi giorni. Ciò mi turba profondamente”.
Il teatro di Castellucci, in giorni difficili per il popolo greco, offre un’occasione per un’interrogazione profonda e non consolatoria sulle sorti del nostro Occidente.

Gilda Tentorio