Da mesi si parlava di questa Lisistrata (produzione del Teatro Nazionale di Atene), lo spettacolo più atteso a Epidauro per la miscela di intelligenze ed energie dispiegate. Poche le rivelazioni trapelate, finché, a pochi giorni dalla prima, una rapida comparsata di Coro e protagonisti nella stazione del metrò più frequentata, in piazza Syntagma, ha lanciato a pubblico e passanti un “profumo” aristofaneo, come si dice in greco.

Tre le fisionomie di spicco chiamate in causa, Michaìl Marmarinòs è un regista che ama la sperimentazione e negli anni ha definito un proprio codice comunicativo spregiudicato e all’avanguardia, firmando lavori che lasciano sempre il segno. Si tratta della sua quarta presenza a Epidauro (dopo Elettra di Sofocle, Eracle di Euripide e, l’anno scorso, la Nekyia del Teatro Nō – qui la recensione), ma è la sua prima volta con Aristofane. Per l’occasione si circonda di attori versatili, come Lena Papaligoura, che abbiamo visto nel 2013 a Milano ne Lo Straniero: Austras o La Gramigna, Emilios Chilakis e tanti altri. Soprattutto, affida il ruolo di protagonista a Lena Kitsopoulou, artista poliedrica della provocazione (scrittrice, attrice, regista, cantante). L’inedita coppia Marmarinòs-Kitsopoulou fa subito presagire scintille e un lavoro sicuramente anti-convenzionale, che conta su un’ulteriore figura di prestigio, il drammaturgo Dimitris Dimitriadis. Noto anche per la sua abilità di traduttore di tragedie antiche, Dimitriadis, in questo nuovo esperimento, ha saputo valorizzare l’aspetto multiforme della lingua aristofanea (squarci lirici, realismo crudo, satira mordace), all’insegna della precisione e fedeltà all’originale.

“Precisione” è infatti una delle parole-chiave dell’operazione Marmarinòs. Dopo la grande stagione di registi capaci di condurre il pubblico greco dentro la polis cantata da Aristofane come specchio della contemporaneità, a partire dagli anni ottanta si è diffusa una tendenza all’appiattimento, per cui il testo antico diventava quasi solo pretesto per cercare il travestimento grottesco dell’attualità e la risata facile da gag televisiva. Per fortuna negli ultimi tempi a Epidauro si sono visti lavori in controtendenza, ma resta sempre in agguato il rischio di banalizzare la verve comica aristofanea verso il triviale. Fra tutte le commedie quella che più ha sofferto è Lisistrata, molto rappresentata e “deformata”. “Per me in Aristofane l’aspetto principale è quello poetico, non tanto il comico”, ha dichiarato dalle pagine di To Vima (31.07.2016) Marmarinòs, che infatti ha scelto di tornare al cuore della commedia, illuminando aspetti finora rimasti in ombra. Ciò significa riscoprire i personaggi nella loro complessità, evitando di ridurli a macchiette; far risuonare un linguaggio libero, senza censure o sottintesi, fedele a una visceralità che non teme di “dire” il corpo; ritrovare nel riso lo strumento di pensiero.

In questa rilettura del regista ateniese, Lisistrata non è una femminista e in gioco non c’è la lotta fra i sessi, bensì una questione tragica come la guerra civile fra Greci. In modo provocatorio Marmarinòs, memore dei suoi studi in biologia, ha definito l’opera “un cripto-saggio sul testosterone: Lisistrata tende una trappola endocrinologica perché ha compreso la potenza delle forze della natura e soprattutto la forza liberatoria della bellezza” (Kathimerinì, 18.06.2016). Nella finzione comica infatti le donne vogliono salvare la città, ma l’autore antico ci vuole dire in termini poetici che la bellezza può salvare il mondo, proprio come afferma Lisistrata: “Ne abbiamo abbastanza del brutto”. Ecco allora spiegata anche la scelta del nudo, che ha scandalizzato per la verità soltanto pochissimi. Le attrici del Coro arrivano in scena: tacchi alti, giarrettiere e fili di perle sono spesso gli unici accessori sopra culottes di pizzo, vestaglie diafane, baby-doll di velo, trasparenze rivelatrici di forme e nudità. Alcune sono a seno scoperto, altre si spoglieranno completamente durante la Parabasi. Pruderie sexy nel sacro recinto di Epidauro? No, perché di fronte a migliaia di spettatori, portano questa loro nudità in modo così ingenuo e naturale che non risulta provocatorio o dissacrante. Sono loro le donne che fermeranno la guerra, indifese, senza schermi né scudi, eppure fortissime perché consapevoli della propria bellezza, che appunto salverà il mondo.

Si ride molto durante lo spettacolo, perché la lingua ha mordente e dice “pane al pane, vino al vino” e alcune trovate sono irresistibili: ad esempio nella scena delle trattative con Ateniesi e Spartani, quando Lisistrata “dialoga” con due falli, rappresentanti delle due parti in guerra. E ancora quando per riprodurre l’Acropoli basta un frigorifero, con la calamita del Partenone formato-souvenir. In scena c’è anche una misteriosa signora con uno strano cappello decorato di frutta, che suona il pianoforte dal vivo. Solo all’ultimo scopriamo la sua identità: si tratta della Pace (con i frutti della prosperità), che è sempre in mezzo a noi, ma che troppo spesso ci ostiniamo a non considerare.

Marmarinòs imprime alla narrazione cambi repentini, accelerazioni e improvvisi rallentamenti, come l’idea di creare nel teatro cinque minuti di buio assoluto, nel momento in cui cala la notte sull’Acropoli occupata dalle donne. Si delinea così un calcolato respiro ritmico di frammentazioni e ricomposizioni: un ruolo si scinde all’improvviso in tre voci o si scambia con un altro, l’unisono si frastaglia in dissonanze, il Coro recita i dialoghi dei personaggi e viceversa, la protagonista tace e per lei “parlano” i sovratitoli, oppure gli attori si distanziano dal proprio personaggio con battute del tipo “Qui Lisistrata dice”, in un vortice magmatico che dà un’impronta di scintillante modernità al testo antico. Tra gli interventi che spezzano l’illusione teatrale, il refrain più frequente è: “Come dice Aristofane”, quasi a ribadire che non esistono cesure temporali definitive fra ieri e oggi: “a volte fai fatica a credere che alcune parole o frasi siano state dette tanti secoli fa”, dice il regista (Athensvoice, 01.08.2016). Nelle mani di un grande artista la frattura antico-moderno diventa cerniera invisibile, contiguità di piani più che distanza. Con la stessa naturalezza si approda alla festa finale di conciliazione e ai brindisi di gioia collettiva. Eppure Lisistrata è malinconica: la bellezza ha conquistato per ora il mondo della polis finzionale, ma sappiamo che appena le acque si placheranno, gli uomini riprenderanno lance e scudi. Eppure per un po’ abbiamo creduto anche noi all’utopia possibile della bellezza.

Gilda Tentorio

Lisistrata
regia di Michaìl Marmarinòs
5-6 agosto 2016