Regia e coreografia di Zerogrammi

Visto al Pim Spazio Scenico di Milano _ 1- 3 ottobre 2010

È ben chiaro ormai – e non solo a quei critici che lo vanno ripetendo da tempo –  che ciò che di più interessante accade nella scena teatrale italiana accade “nel piccolo”: nel lavoro di quei gruppi indipendenti, cioè, che dello spettacolo si fanno spesso ideatori, registi ed interpreti, che mettono in gioco le competenze e le peculiarità più diverse, che seguono il processo creativo dalla a alla z.  Per la danza, questo percorso è ancora in fieri. Troppo poche sono le vetrine, pochi sono gli spazi specificamente dedicati, ancora troppo nebulosa è l’identità del pubblico di riferimento.

E non è un caso che a Stefano Mazzotta e a Emanuele Sciannamea, alias Zerogrammi, accada sempre più spesso di esibirsi in contesti legati al teatro. I due danzatori, entrambi diplomati alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, si sono lasciati alle spalle una carriera da interpreti con artisti del calibro di Ismael Ivo e Monica Casadei e, insieme, hanno cominciato un personalissimo percorso scenico che prosegue dal 2006.  Dopo il pluripremiato “Zerogrammi”, che ha dato il nome alla neonata compagnia, è stata la volta di “Inri” (che replica – proprio in questi giorni – nel cartellone di “MilanOltre”). “Mappugghje”, l’ultima creazione, segna una tappa decisiva nel percorso artistico della compagnia, tanto per quanto riguarda l’iter della produzione, quanto per le modalità del processo creativo. A Milano la casa per eccellenza degli Zerogrammi è stata in questi anni il Pim Spazio Scenico, che inaugura con la stagione 2010/2011 la nuova sede di via Selvanesco, nella ormai “bollente” zona di Piazza Abbiategrasso (vicini di casa, il Crt Salone e il Teatro Ringhiera dell’Atir).

Questa volta Pim arriva a coprodurre lo spettacolo: il debutto della “seconda variazione” del progetto, avvenuta ai primi di Ottobre, ha rappresentato la conclusione di una lunga ‘abitazione’ dello spazio del Pim, con prove, workshop, classi di tecnica aperte e gratuite. La “prima variazione” (con debutto a Torino, nel Maggio 2010) era invece l’esito di una residenza a Faro, in Portogallo, con il contributo del progetto Moovin’UP (Gai, Ministero della Gioventù, Mibac). Un ottimo esempio di work in progress, dunque: il debutto del lavoro completo è previsto nell’autunno 2011.

Con “Mappugghje”, gli Zerogrammi rinunciano, per la prima volta, alla loro presenza fisica sul palcoscenico, per dedicarsi appieno alla regia e alla coreografia. In scena, a danzare, è Chiara Michelini, interprete per giganti della coreutica quali Carolyn Carlson, Monica Casadei, Abbondanza-Bertoni. Ma non è questa l’unica novità. A fare il suo ingresso massiccio, in questa seconda variazione, è il mondo della parola: ecco allora la presenza di un drammaturgo, Fabio Chiriatti, e di un’attrice, Maria Cristina Valentini. Il lavoro sulla parola si inserisce con delicatezza e armonia nell’inclinazione coreografica degli Zerogrammi, tutta volta al piccolo, al misurato, alla lieve ironia, alla leggerezza. E del resto il titolo stesso dello spettacolo porta in questa direzione: le mappugghje, nel dialetto salentino, sono le cianfrusaglie, gli oggetti senza valore accumulati negli anni. Ed è attraverso la banale e poetica concretezza di questi oggetti che si dipana il tema: l’attesa, il restare, il lasciar passare il tempo, il riempirlo.

In scena c’è una Penelope con vestito nero e collana di perle, che si aggira senza requie in una casa simbolica, tutta tappezzata con una carta da parati retrò. A connotare questa dimensione schiettamente domestica sono pochi elementi, volutamente schematici: un tavolino con un vecchio telefono, una finestra, una porta che rappresenta un costante punto di riferimento, di fuga, di speranza, ma anche una quinta dove nascondersi, passare e riapparire. La presenza femminile della protagonista è come sdoppiata su due piani temporali differenti dalle due interpreti: la giovane Penelope esce dalla porta e riappare pochi istanti dopo con una crocchia di capelli grigi.

Le due parlano e si muovono fianco a fianco, portando lo spettatore a spiare la lunga attesa in una dimensione sincronica: l’una ancora impaziente, vibrante, offesa, l’altra già consapevole, affaticata, rassegnata. L’una abita lo spazio con una partitura coreografica “sghemba” – così la definiscono gli Zerogrammi – limitata e modellata dal piccolo spazio domestico nel quale è rinchiusa, tutta volta a citare, quasi tra virgolette, le azioni della vita tutti i giorni, con la leggerezza e la levità delle illustrazioni a fumetti. L’altra mastica il testo come fosse un rosario, una piccola filastrocca senza senso tra le labbra, un’imprecazione tra i denti.

C’è da aspettare. C’è da abitare il tempo e lo spazio. C’è da vivere, nell’attesa.

Ed ecco allora che il suono del lavandino che perde, il rito del caffè, le pulizie, l’asciugarsi i capelli, il cucinare, diventano una piccola epica quotidiana, accostata implicitamente a quella ignota dell’assente. Un Odisseo, per una volta, non raccontato e non visto.

Maddalena Giovannelli