La tarantolata, battendo i piedi, schiaccia il male che la possiede. I dervisci entrano in uno stato di incoscienza roteando in modo esasperato. La danzatrice indiana impersona Shiva Natarajasana, divinità creatrice del ciclo vitale. Le sontuose celebrazioni in onore di sant’Agata a Catania prevedono una processione animatissima.

Qual è il filo conduttore di questa carrellata di immagini che ci vengono mostrate? È la domanda che Valeria Crippa, firma della danza sul Corriere della Sera pone al suo uditorio. E così, tramite un excursus sulle antiche forme di danza che consentono di trascendere l’umano, comprendiamo come la perdita del controllo del sé e il contatto con il divino costituiscono la matrice di tutte queste forme espressive. Ma è possibile inserire il linguaggio di Roberto Zappalà, nome di punta della danza contemporanea che riporta a MILANoLTRE a distanza di dieci anni il suo A. Semu tutti devoti tutti?, nel novero delle danze devozionali? Innanzitutto il lavoro di Zappalà approda a una danza interiore attraverso un metodo che mira all’autoconsapevolezza del danzatore, il quale deve trovare una propria verità. Sarà questa verità, individuale e unica, a muoverlo. Se poi le danze devozionali sono anche e soprattutto suggestione e condizionamento collettivo, la produzione del coreografo siciliano rientra in pieno nella categoria. E non solo per il tema che vede al centro le celebrazioni per sant’Agata: la giovane martire catanese perseguitata per la propria fede cristiana fino all’orrenda mutilazione e alla morte, rievocata con sincera devozione dalla comunità catanese nel rito della processione. Ma anche nell’impostazione coreografica, dove ciascun danzatore dipende nella sua esecuzione dal peso e dal movimento dei suoi compagni, chiamati a spingersi e a rincorrersi per tutto lo spettacolo.

Crippa ci tiene a chiudere il suo intervento-lezione mettendo l’accento sulla grande capacità della drammaturgia di Zappalà di farsi denuncia: la scrittura coreografica e non solo di A. Semu tutti devoti tutti? mostra i suoi risvolti oscuri della devozione alla santa. La celebrazione di sant’Agata diventa un rito macabro in onore del dio Denaro, dell’ossequiosità alla mafia. Oppure è, più semplicemente, soltanto la rappresentazione di una lotta sul ring dela pubblica piazza, per ottenere il posto più visibile in una comunità, che rischia di dimenticare la propria spiritualità rendendola forma vuota.

Ferdinando Solimando e Alice Strazzi


Incontro “Compagnia Zappalà Danza” con Valeria Crippa, tenutosi all’Università degli Studi di Milano il 25 settembre 2019

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