Di Francesco Niccolini e Marco Paolini
Regia di Marco Paolini
Visto al Piccolo Teatro Strehler di Milano_ 5-17 Marzo 2013
“Un minuto di rivoluzione!”
Così esclama Marco Paolini appena apparso sul palco.
Le scolaresche presenti in sala si infiammano. Urla, fischi, cori. Paolini lascia fare poi chiosa: “Io avevo detto rivoluzione, non ricreazione. A volte sembrano la stessa cosa, ma non sono la stessa cosa”.
L’espediente funziona, il pubblico si quieta: il domatore ha gettato il boccone alla bestia, l’ha lasciata sfogare, ne ha catturato l’attenzione. Ora non c’è più pericolo, si può cominciare.
ITIS Galileo è l’ultimo progetto di Marco Paolini che racconta gli studi, le invenzioni e le traversie dell’astronomo italiano con l’intento di indagare, senza mitizzazioni né velleità prettamente biografiche, l’uomo Galileo, le sue contraddizioni e il suo barcamenarsi tra scienza, religione e potere.
La messa in scena è come al solito essenziale e la scenografia, funzionale alla narrazione, sfiora a tratti il didascalico: al centro del palco un’enorme bomba, una mina che, a seconda dei casi, si trasforma in pendolo o in ordigno da cavalcare, come nella celebre sequenza di Kubrick.
Il riferimento simbolico, quasi trasparente, illustra l’esplosività delle scoperte e delle invenzioni di Galileo, che non solo rischiano di far detonare il sapere comune, ma hanno il sapore della rivoluzione, della sovversione dell’ordine: una rifondazione culturale che parte dal basso (il quadrivio matematico-scientifico giudicato inferiore rispetto al trivio letterario-filosofico) e che non vorrebbe genuflettersi di fronte ad altra autorità che la ragione.
Non c’è il coinvolgimento emotivo de Il racconto del Vajont, né il vigore della denuncia di I-TIGI. Canto per Ustica, i mostri di intensità e bellezza che Paolini ha creato e con cui ogni suo lavoro dovrà sempre fare i conti; eppure anche in ITIS Galileo ritroviamo lo stesso intento politico, benché senza quell’urgenza che rendeva quegli spettacoli così attuali.
L’impegno civile di Paolini è permeato da una didattica sana, viva, forse non esaustiva come la lezione di un docente, ma dotata di quella attrattiva che molti professori non riescono ad imprimere ai loro insegnamenti. Un fascino che risiede in primo luogo nell’oratoria e nel linguaggio, nell’abilità affabulatrice che incanta e nella capacità di mischiare lingua alta e lingua bassa: secondo uno schema più volte visitato, italiano e dialetto, espressioni gergali – a volte persino triviali – e terminologia rigorosa si fondono in funambolici campionari linguistici. Paolini ne sperimenta l’efficienza tanto nei monologhi tratti da Shakespeare, quanto nella citazione del Gran Naviglio (il celebre esperimento della nave contenuto nel Dialogo sopra i due massimi sistemi) che teatralizza utilizzando le tecniche della commedia dell’arte.
Il motore primo di questa koinè, cangiante nello stile quanto nella lingua, è la necessità del comunicare: il narrat(t)ore Paolini è un uomo che parla una lingua che è sì specchio di ciò che lo circonda, oscenità comprese, ma è, allo stesso tempo, l’unico mezzo con il quale riesce a descrivere, a interrogarsi, e quindi anche a interagire col mondo, ad esprimere il proprio pensiero.
Non stupisce allora la scelta di una personalità duttile come quella di Galileo, simbolo della libertà della scienza e contemporaneamente – così dalle note di regia – “uno che per campare fa anche oroscopi”; uno, cioè, che col mondo, con l’ottusità, l’impellenza economica, l’opinione dei potenti (i dogi prima, i Medici e i papi poi), dei maestri (Copernico), dei colleghi-rivali (i dotti dell’università di Firenze, Keplero), ha dovuto confrontarsi per necessità.
Paolini in qualche modo gli somiglia, nella “forza di guardare oltre”, nel tentativo di interpretare e restituire al pubblico il frutto delle sue impressioni, con la consapevolezza di non proporre un sapere compiuto, ma di contribuire a dare una prospettiva, a sciogliere qualche dubbio.
“Per noi è facile irridere le teorie del passato”, afferma dal palco. “Quando finiscono, le teorie fanno sempre ridere. Il problema è che mentre ci sei dentro continui a pensare che non sia teoria, ma spiegazione della realtà”.
Corrado Rovida