Chi ha vissuto con perplesso distacco la dimensione festaiola di questa edizione del Festival di Santarcangelo, avrà invece accolto con sollievo la proposta coreografica di Simona Bertozzi, che poco concede a una fruizione meramente edonistica dell’evento spettacolare e che si caratterizza invece per un asciutto rigore compositivo.
And it burns, burns, burns – presentato nel secondo fine settimana di festival – è infatti un’ora abbondante di ricerca coreografica pura, portata avanti da cinque eccellenti performer su un palco vuoto e accompagnata da sonorità ipnotiche (a cura di Francesco Giomi) che creano un ambiente sospeso e rarefatto senza cercare l’immediato coinvolgimento emotivo dello spettatore.

Compagnia Simona Bertozzi-Nexus, And it burns, burns, burns. Foto: Luca Del Pia

La performance è l’ultima tappa di un articolato percorso di ricerca intorno alla figura mitica di Prometeo (qui la recensione di Stratagemmi su Prometeo: il dono), volto a indagarne alcune istanze: il dono come pratica relazionale, la ricerca di un incontro possibile con l’altro da sé, il sacrificio di se stessi attraverso l’esperienza del dolore. Le Oceanine, coro di Ninfe che nel testo di Eschilo portano conforto all’eroe prigioniero, sono qui due adolescenti di quattordici e sedici anni; la dialettica oppositiva tra le età emerge dunque come specifico punto di interesse di Simona Bertozzi, che sembra sotto questo aspetto aver assorbito la lezione del maestro Virgilio Sieni. Al movimento sincrono delle due Oceanine, si contrappongono le solitudini degli altri tre performer: gli incontri e i momenti relazionali, che con le loro linee geometriche paiono costituire anche l’unica scenografia spaziale dello spettacolo, si nutrono di gesti reiterati, di respiri esplorati come fonte di movimento, di parole emesse come fiato.

Compagnia Simona Bertozzi-Nexus, And it burns, burns, burns. Foto: Luca Del Pia

Nel minimalismo estetico della coreografa – che sembra rifuggire programmaticamente scelte estetizzanti e seduttive – la scelta dei costumi (a cura di Cristiana Suriani) diviene particolarmente significativa. La dimensione atemporale del mito viene accostata, in voluto contrasto, al qui e ora della rappresentazione, di cui viene dichiarato tutto l’aspetto finzionale: così un giubbotto dorato evoca un’antica corazza da guerriero, mentre pantaloncini e T-shirt ci ricordano che ci troviamo di fronte a un gruppo di performer.
Le frammentate geometrie spaziali della prima parte sembrano trovare un compimento prima del finale, che si contraddistingue per un deciso crescendo. I cinque danzatori si uniscono finalmente in un insieme, che prende le forme di un metamorfico cerchio: le differenze fisiche e di movimento esibite come tali all’inizio dello spettacolo sembrano d’improvviso scomparire, e i salti, i giri, gli squilibri, non paiono movimenti coreografici eseguiti in sincrono, ma i respiri e i battiti di un unico organismo collettivo. Prometeo, attraverso il dono di sé, ha costruito una comunità.

Maddalena Giovannelli

And it burns, burns, burns
Progetto Simona Bertozzi, Marcello Briguglio
Ideazione e Coreografia  Simona Bertozzi
Interpreti Anna Bottazzi, Arianna Ganassi, Giulio Petrucci, Aristide Rontini, Stefania Tansini
Musica Francesco Giomi
Luci Simone Fini
Costumi Cristiana Suriani

Visto a Santarcangelo Festival 2017