di Roberto Cavosi, Angela Demattè, Renato Gabrielli, Carmelo Rifici
regia di Carmelo Rifici
visto al Teatro Sala Fontana di Milano_dal 22 novembre al 5 dicembre 2013

L’Italia ha molti debiti, questo è noto. Uno dei più dolorosi è sicuramente quello nei confronti delle vittime degli attentati terroristici e mafiosi, ma anche di quelli della cosiddette stragi di Stato, e dei loro familiari, rimasti orfani dei loro cari e, nella maggior parte dei casi, anche di una qualsivoglia forma di giustizia.
Proxima res
, la compagnia diretta da Carmelo Rifici, cerca di dare forma e volto al dolore di chi è sopravvissuto a queste tragedie, personali e pubbliche, con Chi resta, spettacolo che conclude la residenza della compagnia al teatro Sala Fontana, iniziata a fine ottobre con Antropolaroid di Tindaro Granata. Dalle testimonianze dirette dei parenti e degli amici delle vittime sono nati cinque capitoli di una storia difficile da raccontare, fatta di ricordi, di rabbia e di perdono, ma anche di un’ostinata ricerca di giustizia e di senso. Chi resta è una drammaturgia corale, firmata da Roberto Cavosi, Angela Demattè, Renato Gabrielli e Carmelo Rifici, che ne cura anche la regia.

In Muziko rivive la disperata ricerca di risposte di Licia Pinelli, che fissa per sempre i suoi occhi sul marito ucciso, in una posa simile alla biblica Sara, che guardando la sua casa in fiamme divenne una statua di sale. Francesca Porrini presta a Licia una voce ferma e commossa, che esprime con eguale intensità la richiesta di giustizia e la nostalgia senza conforto di chi ha perso il compagno di una vita. Muziko è una bella parola dell’esperanto, che Licia e Giuseppe studiavano insieme per costruire “un mondo senza violenza, dove tutti parlassero la stessa lingua”.
Dal rapporto d’amore tra coniugi a quello filiale. In scena vediamo infatti anche il confronto tra il figlio di un mafioso e la figlia di un agente ucciso, incapaci di comunicare, intrappolati ciascuno nel proprio inferno personale; quello tra una ragazza e una terrorista (ottima la resa di Mariangela Granelli) che sta scontando la pena per averle ucciso il padre, in una riflessione che tocca il tema dell’onnipotenza: chi uccide, per un attimo si sente un dio, capace di dare e togliere la vita.
Il confronto costituisce il nucleo drammaturgico anche dell’episodio Il progetto (Birreria della memoria), di Renato Gabrielli, dove un sindaco pavido e ottuso entra in crisi dopo aver deciso di chiudere il museo della memoria della città per far posto ad una birreria biologica, pensando addirittura di dare alle birre i nomi delle vittime. Emiliano Masala rivela con abilità l’animo del sindaco, tragicamente ridicolo nel suo tentativo di salvare il proprio progetto conservando qualcosa di “etico”, in un silenzioso dialogo con una strana figura, forse la sua coscienza, venuta a turbargli il sonno.

Ma, alla fine, che cosa resta allo spettatore di questa drammaturgia che affronta e appaia temi così diversi eppure così profondamente simili? Certamente non solo i volti di chi è rimasto, di chi ha vissuto e subito violenza e soprusi. Certamente non restano risposte. Resta il presente che, come ci suggeriscono le voci in scena, va indagato e scandagliato. Perché il teatro è anche il luogo in cui si può guardare il dolore negli occhi e imparare a non averne paura.

Alice Patrioli