di Aristofane
traduzione di Andrea Capra
Regia di Vincenzo Pirrotta
Visto nell’ambito del XLIX ciclo di rappresentazioni classiche dell’INDA
11 maggio-23 giugno, Teatro greco di Siracusa
Traduzione o adattamento? Messinscena tradizionale o regia attualizzante? Aderenza all’antico o slancio verso la contemporaneità? Aristofane mette il regista davanti alla necessità di una scelta di campo forte e sempre rischiosa: sarà accusato di non aver osato abbastanza o di avere forzato il testo, di non aver fatto ridere il pubblico o di aver puntato troppo su una comicità bassa ed elementare.
Il festival di spettacoli classici nel teatro greco di Siracusa è da sempre una preziosa occasione produttiva e il terreno privilegiato per questa difficile prova (ci sono passati, tra gli altri, Luca Ronconi e Roberta Torre). Eppure, nella rassegna, la commedia occupa tradizionalmente un posto di secondo piano rispetto alla tragedia: mentre le due tragedie in cartellone hanno a disposizione tre repliche ciascuna (e non di rado attirano nel cast i nomi di maggior prestigio) Aristofane viene proposto solo il lunedì.
Nel XLIX ciclo di rappresentazioni classiche (inaugurato l’11 maggio e in cartellone fino a giugno inoltrato) la gerarchia sembra invece essersi rovesciata: Le Donne al Parlamento di Vincenzo Pirrotta – andate in scena dopo l’Edipo re paludato e declamatorio di Daniele Salvo e dopo l’Antigone interessante ma non del tutto risolta di Cristina Pezzoli – sono certamente l’appuntamento più significativo.
L’allestimento si contraddistingue in particolare per il riuscito equilibrio tra i dissonanti ingredienti aristofanei: la commedia antica colpisce ad hoc i protagonisti della più recente attualità politica e, allo stesso tempo, ritrae impietosa l’uomo in quanto uomo, uguale a se stesso dal V secolo a.c. al 2013. Il testo – nell’ottima traduzione di Andrea Capra – non manca dunque di chiamare in causa “Maronide”, “Schifanide”, o “Marimontide” (raccogliendo, con quest’ultimo, risate bipartisan), e gli striscioni verdi con la scritta “Atene ladrona!” strappano applausi a scena aperta; ma l’atmosfera cambia del tutto nella parte finale della commedia che vira verso una più ampia riflessione universale. Nella Parabasi le donne, camminando con passo deciso e sguardo minaccioso verso gli uomini del pubblico, sferrano un violento j’accuse: “le donne siano rispettate da tutti, è questo quello che vogliamo! Ma voi uomini siete pronti? Non è che poi ricominciate con la prepotenza, il disprezzo e la violenza?”. Con un cauto e non forzato allontanamento dal testo aristofaneo, Pirrotta allude alle preoccupanti statistiche che parlano di violenza sulle donne. Occorre cambiare le cose subito: “Se non ora quando?”.
A guidare con sapienza la presa del potere da parte delle donne è la protagonista Anna Bonaiuto, una Prassagora dall’interpretazione densa, misurata, mai sovraccarica. Si tratta certo di una rivolta non priva di ombre: il ‘comunismo’ al femminile proposto da Prassagora prevede anche che ogni cittadino accontenti i desideri sessuali di chiunque lo voglia (“ti attizza la bellona? ma prima dovrai farti la racchiona!”). Non solo: Aristofane ritrae un evasore che si fa beffe dei cittadini onesti, e che si tiene strette le sue proprietà. La distribuzione delle parti ricostruita da Andrea Capra disegna però una più nitida parabola morale: dopo la Parabasi vedremo tre spaventose megere inseguire un malcapitato pretendendo da lui le dovute prestazioni. Di norma, la vittima dell’aggressione sessuale rimane anonima; secondo questo più efficace copione, lo spettatore può invece, non senza soddisfazione, riconoscere il furbo evasore.
Sorprendente è anche l’utilizzo del Coro, eterna croce di un teatro contemporaneo che pare non esserne mai all’altezza: le quindici coreute si muovono in perfetta armonia tra balli, canti, bandiere rosse e cassette della frutta colorate. Ed è proprio seguendo l’evoluzione del Coro – e dei costumi – che si può cogliere la chiave del lavoro di Pirotta: le armature di donne guerriere diventano burka, simbolo di oppressione dell’identità femminile, e infine mantelli colorati, segno di gioioso stravolgimento e liberatoria emancipazione.
Non mancano all’appello risate crasse, tra evacuazioni difficoltose e vicini effeminati: tutti elementi chiave della commedia aristofanea che Pirrotta – contrariamente a quello che potrebbe sembrare – addolcisce, lascia scivolare senza enfasi, e talvolta taglia. E se qualcuno storce il naso di fronte al gigantesco fallo che appesantisce l’andatura di uno dei personaggi, sappia che non c’è nulla di più filologico: si tratta del costume caratterizzante dell’attore comico, officiante di quel rito dionisiaco che chiamiamo teatro.
Maddalena Giovannelli