Ad animare le serate del mese di luglio in sei comuni sparsi fra la provincia di Como e quella di Monza e Brianza, è stato il festival di teatro L’arte della terra, quest’anno alla sua seconda edizione. L’iniziativa, diretta e organizzata da Michela Marelli di Teatro in-folio, insieme ad altre realtà e associazioni attive sul territorio (FARE, Musicamorfosi, Teatro Città Murata e Mondovisione), si è posta come obiettivo quello di offrire una ricca e varia proposta artistica in un’area spesso esclusa dalla più vivace vita culturale milanese.

All’interno di questa cornice, i comuni di Arosio, Cabiate, Cantù, Mariano, Meda e Seveso sono diventate tappe di una tournée estiva di spettacoli di teatro, musica e circo rivolti a un pubblico di ogni età e accomunati da un comune interesse per la natura e per le sempre più urgenti tematiche ambientali. È il caso, per esempio, di C.F.S. Corpo Forestale dello Stato, un lavoro scritto e diretto dalla stessa Marelli, che ha come obiettivo proprio la sensibilizzazione del pubblico in merito a un tema nevralgico come la cura del patrimonio boschivo.
Pur nel contesto del progetto En Plein Air, gran parte degli spettacoli ha tuttavia avuto luogo in spazi chiusi, così da garantire lo svolgimento delle attività anche in caso di maltempo: un espediente tristemente vanificato dalla crisi idrica che sta tuttora interessando il territorio. Il tema, infatti, non è mai stato così attuale come in questo periodo: agli incendi che divampano a causa del caldo torrido e della mancanza di piogge, il festival vuole contrapporre una fiamma benefica di consapevolezza e sensibilizzazione, rivolgendosi in particolare alle nuove generazioni. Non si tratta solo di farsi testimoni di quanto sta accadendo, di proporre pratiche virtuose o laboratori manuali, ma anche di rendere effettiva la funzione per eccellenza dell’arte: la capacità di dare vita a una rappresentazione in grado di sedimentarsi e germogliare nella coscienza dei suoi fruitori.

Dipingere alberi, progetto di Vera Pravda, foto ufficio stampa

È quanto fa, per esempio, lo spettacolo Kauwa-auwa: una combinazione di immagini suggestive prive dell’ausilio dell’elemento verbale, prodotta dalla compagnia di circo contemporaneo MagdaClan e pensata per il pubblico più giovane, il cui debutto è andato in scena al Piccolo Teatro Radio di Meda. Attraverso il virtuosismo del movimento e il ricorso a molteplici tecniche circensi, l’autore e interprete Alessandro Maida tratteggia i confini di un distopico e irreversibile collasso climatico. Il kauwa-auwa citato dal titolo, come confermato da alcuni studi antropologici, era il palo utilizzato dalla popolazione indigena australiana degli Achilpa per sfuggire all’angoscia del nomadismo. Piantare un bastone lungo le tappe della marcia significava vincere la paura dell’ignoto, ritrovando una dimensione stanziale e trasformando un luogo di passaggio in un perpetuo centro del mondo. L’unico personaggio in scena è così un misterioso sopravvissuto in un mondo deserto, popolato soltanto da pietre e rifiuti. Il suo vagabondare senza meta trova uno scopo e una dimensione grazie ai sassi che costellano il percorso e che l’uomo analizza, annusa, mangia, scala, lancia.

Kauwa-auwa, foto ufficio stampa

A fornire coordinate spaziali al camminare è una semplice ma efficace scenografia firmata da Francesco Fassone: un tappeto disseminato di pietre di varie dimensioni con le quali il protagonista ridisegna costantemente il proprio habitat. Un faro, appeso a un braccio metallico, è manovrato da un tecnico visibile ai margini della scena; l’alternanza di luce calda e fredda simula il giorno e la notte e contribuisce a donare una dimensione temporale al pianeta disabitato su cui il pubblico è affacciato. Senza pronunciare una solo parola (l’unico elemento sonoro è costituito dalle musiche di Pino Basile), Maida lascia a bocca aperta gli spettatori di ogni età servendosi delle tecniche dell’acrodanza e impilando una sull’altra pietre che sembrano costantemente sul punto di cadere. Grazie a una mimica di grande comicità, l’artista riesce inoltre a coinvolgere anche i bambini, affascinati più dalle esibizioni di forza e agilità del performer che dal sottotesto distopico dello spettacolo. Saranno forse i genitori a casa a riportare la loro attenzione sui reperti fossili di un’umanità distrutta che il protagonista trova in scena: una lattina di Coca Cola e i resti di un computer, studiati con curiosità e timore come misteriosi oggetti estranei. Il superstite li disseziona, li ricopre di sabbia come per dare vita a un rito, li pone su un altare di pietre e rimane a contemplarli cercando di indagarne l’antica funzione.

Le suggestioni instillate nel pubblico sono riecheggiate e amplificate dall’intera programmazione del festival in una varietà di formati e toni. La presenza di un filone tematico così forte e l’ampia dimensione temporale dell’iniziativa (della durata di un mese) mirano infatti a vincere la sporadicità del singolo evento per costruire un terreno di riflessione fertile nel contesto della comunità cittadina.

Chiara Carbone, Ivan Colombo


foto di copertina: Kauwa-auwa, ufficio stampa

KAUWA-AUWA
di e con Alessandro Maida
sguardo esterno Giorgio Bertolotti
musiche Pino Basile
scenografie Francesco Fassone
disegno luci e tecnica Flavio Cortese
costumi Augusta Tibaldi


Questo contenuto è parte dell’osservatorio dedicato al progetto En Plein Air.