di Annibale Ruccello
regia di Arturo Cirillo
visto al Tieffe Teatro di Milano _ 12-17 febbraio 2013

Capolavoro della letteratura teatrale novecentesca, Ferdinando è la storia di tre solitudini condivise nella stessa casa della campagna vesuviana, all’epoca della caduta dell’impero borbonico. Donna Clotilde è una baronessa vedova andata in rovina, che rimpiange con rancore i tempi passati, disprezza i nuovi monarchi e si lamenta di un’immaginaria malattia che la costringe a letto. Donna Gesualda è la cugina zitella, “Cenerentola” costretta a sopportare offese e improperi della parente ricca, dedita alle sue cure e al suo servizio. Don Catellino è il prete peccatore che frequenta la casa di Donna Clotilde per assistere la sua malattia e condividere opportunismi e pettegolezzi, oltre che una tresca segreta con Gesualda.

La quotidianità dei tre procede in una deprimente emarginazione, ben rappresentata dai monologhi di Donna Clotilde e dalla maligna e supponente ironia nei confronti di chiunque le passi sotto mano. Consolatoria distrazione sarà l’arrivo in casa del bel e giovane Ferdinando, nipote della nobildonna rimasto orfano e affidato dal notaio alle cure della zia. Inizia così un perverso rapporto a quattro. L’apparente dolcezza del ragazzo scatena le fantasie dei tre tutori: ben presto Ferdinando diviene l’oggetto comune di amore morboso e desiderio, da lui mai respinti. Il tutto si risolverà in un inganno che riporterà i tre nell’ombra della disperazione: chi nella solitudine peccaminosa della vita terrena e chi in quella della morte.

Ferdinando segna per Arturo Cirillo il terzo confronto con l’autore stabiese, dopo Le cinque rose di Jennifer  e L’ereditiera, con i quali si era aggiudicato ben due premi Ubu. Questa terza prova ribadisce la fortuna di questo incontro, portando in scena la forza di un testo che ritrae con vivace crudezza il Meridione di fine Ottocento, con uno spirito novecentesco che fa eco ad autori come Jean Genet, Pasolini e Tennesee Williams. La regia di Cirillo, asciutta e vitale, resta fedele all’originale sfrondandolo dei suoi tratti più storicistici e classici ma mantenendone intatta l’essenza. La scena si svolge in una claustrofobica stanza, di cui protagonista è il letto in cui donna Clotilde consuma malattia e disprezzo. Qui tutto avviene, anche quando lei – risvegliata dall’ipocondria grazie all’arrivo di Ferdinando – oserà uscire di casa. Inscindibile da questo quadro è la parlata napoletana (come sentenzia donna Clotilde, non si può parlare “in Italiano”, lingua straniera, barbara e senza storia), materia viva di cui la scena si nutre anche quando il pubblico fatica a comprenderla. Gli attori ben interpretano la forza e la musicalità del testo di Ruccello, senza lasciare spazio a cadute di ritmo. A Sabrina Scuccimarra va il difficile compito di sostituire Isa Danieli, “musa” di Ruccello nel scrivere questo testo e sua storica interprete, nel ruolo di Donna Clotilde. Le tengono testa Monica Piseddu, una fragile e furba Gesualda, lo stesso Cirillo nei panni del corrotto e perdente Catellino, e Nino Bruno, bravo nell’interpretare la doppia faccia della seduzione ingenua e dell’inganno. Il risultato è uno spettacolo completo, che rende merito a un classico del teatro ancora vivo e avvincente nella macabra inquietudine di cui si fa portatore. Come lo ha definito Isa Danieli, “un fiore di carta” regalato da Ruccello prima della sua prematura scomparsa, e che ogni tanto deve essere fatto nuovamente sbocciare.

Francesca Serrazanetti