Prendete un noto romanzo della letteratura russa, la tradizione comica barese, una delle più sontuose sale teatrali all’italiana e un gruppo di trentenni, esponenti emergenti della più recente ricerca teatrale. È questa la strana e accattivante miscela alla base del progetto Karamazov di Vico Quarto Mazzini (Michele Altamura e Gabriele Paolocà), esito di una coraggiosa produzione in collaborazione con il Comune di Bari e il Teatro Pubblico Pugliese.
Già avvezzi a una disinibita rivisitazione dei classici – hanno lavorato su Shakespeare, Pirandello, Ibsen – Altamura e Paolocà all’incontro con Dostoevskij hanno scelto di affidare la riscrittura a un giovane drammaturgo barese, Francesco d’Amore: chi lo ha visto in scena (insieme a Luciana Maniaci, nel sodalizio artistico Maniaci d’Amore) ricorderà la sua ironia pungente e il suo gusto per il nonsense, in una caratterizzazione altamente riconoscibile.

Il progetto di riscrittura ha preso forma nell’ascolto dei quattro mattatori del comico chiamati come interpreti: Dante Marmone, Nicola Pignataro, Tiziana Schiavarelli e Pinuccio Sinisi sono nomi del teatro dialettale/popolare e della televisione, notissimi a Bari e non solo almeno dal 1999, quando andarono sul grande schermo con LaCapaGira, film-culto della tradizione comica pugliese.
Riuniti in un contesto lontano da quello di loro appartenenza, i quattro hanno contribuito fortemente all’orientamento del progetto: i Karamazov, con il loro spiccato accento meridionale, abitano in una casa della Bari vecchia e l’azione si svolge a trentacinque anni di distanza dalla morte del padre, fulcro narrativo della riscrittura e del romanzo. Memoria, correttezza, rapporti famigliari e ricerca della verità diventano i grandi temi nell’ambito dei quali si muove la vicenda: Alex (Sinisi in tonaca monacale) e Ivan (Pignataro con tutore per i movimenti) sono due anziani fratelli e vivono in casa con “Quella”, donna che li accudisce in ragione dell’amore per il loro fratello Dimitri (Marmone, in carcere perché accusato di parricidio). Ma in una stanza della casa, evocato ma sempre fuori scena, vive anche un servitore che, sul letto di morte, promette di confessare la vera identità dell’assassino del padre dei tre fratelli prima di esalare l’ultimo respiro.

La vecchiaia è rappresentata con schietta ironia: le orecchiette e il fritto di calamari spettano agli ospiti, mentre per i vecchi fratelli che sognano di andare al mare – ma fanno male le gambe! – c’è la pastina. Al centro dei dialoghi è la memoria e la sua mancanza: tutti, tranne la donna, sembrano avere dimenticato, e il ricordo diventa un’ossessione. “Alla nostra età ricordare è pericoloso”. Il tema, sulla bocca dei quattro interpreti, assume quasi valore meta-teatrale: cosa resta a un attore quando la memoria scompare?
Le dimensioni di realtà, memoria e sogno si alternano di continuo, e abbiamo quasi l’impressione di assistere a una “messinscena” che forse, chissà, continua a ripetersi ogni sera in quella casa di Bari vecchia. Proprio su questo punto – nel valorizzare cioè, una lettura stratificata, tra comico e melodrammatico, nella relazione tra attori e personaggi – l’impronta della regia poteva essere ancor più decisa. E se la scenografia composta da cassette di legno e il disegno delle luci (entrambi di Vincent Longuemare) ben definiscono un’atmosfera cupa e straniata, gli occhi, le reti e le colombe proiettate con animazioni grafiche sullo sfondo sottolineano a tratti in modo superfluo ciò che viene già ben evocato sulla scena.

Ma Karamazov è l’esito di una sfida non semplice: riempire la sala da oltre mille posti del Teatro Petruzzelli, lavorare su più livelli e fare incontrare diverse tradizioni sul fragile seppur fecondo terreno della ricerca del contemporaneo è un risultato ambizioso.
Strategicamente collocato subito dopo le cene natalizie (27 e 28 dicembre) il debutto di questo spettacolo ha fatto il tutto esaurito, con un pubblico molto diversificato: un discreto numero di addetti ai lavori arrivati da tutta Italia, artisti e operatori locali, gli abbonati del Petruzzelli e gli affezionati della scena comica pugliese. E molto diversificata ne è stata, di conseguenza, la ricezione: chi coglieva le citazioni di una tradizione comica spiccatamente locale, chi interpretava la rilettura di Dostoevskij, chi apprezzava le scelte più propriamente formali della restituzione scenica. In tempi in cui tanto si discute su competenze e credibilità di generazioni “under”, in un settore che soffre la tendenza a chiudersi nel controllo del proprio seminato, questo Karamazov guidato da un gruppo di trentenni dimostra la curiosità di un’apertura e la consapevolezza del rischio. Sperimentando, a proprio modo, un incrocio di generazioni, linguaggi, tradizioni e pubblici.

Francesca Serrazanetti

 

Karamazov
ideazione e regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà
drammaturgia Francesco d’Amore
con Dante Marmone, Nicola Pignataro, Tiziana Schiavarelli, Pinuccio Sinisi
spazio e luci Vincent Longuemare
costumi Luigi Spezzacatene
concept video e grafica Raffaele Fiorella
sound design Alessandro De Rocco
organizzazione e promozione Francesca D’Ippolito
produzione VicoQuartoMazzini
liberamente ispirato a I Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij

Visto al Teatro Petruzzelli di Bari, 27/28 dicembre 2017