Uno spettacolo all’avanguardia, che rende il teatro, nonostante i problemi che sta attraversando, un fondamentale luogo di riflessione sulla crisi dell’individualità acuita dal Covid-19.
Tragedia trattata in svariate forme nel corso dei secoli, dai testi classici di Sofocle e di Seneca alla variante cristiana e barocca di Racine, fino alla radicale rivisitazione di Sarah Kane, Fedra trova in Leonardo Lidi un nuovo, non certo ultimo, “traduttore”. Il suo spettacolo, presentato in una prova aperta al LAC di Lugano il 29 novembre 2020, le dona una veste originale e innovativa, soprattutto se si tiene conto della catastrofica situazione durante cui essa è nata, ovverosia della pandemia globale tuttora in atto.
La scena si apre con una scenografia che appare scarna, quasi incompleta. Fedra, nella quale Afrodite aveva instillato una passione sfrenata verso il figliastro Ippolito per vendetta nei confronti del marito Teseo, discute con un suo alter-ego, la sua parte razionale. Entrambe le attrici indossano degli abiti di un giallo acceso e siedono su una panchina di un rosso altrettanto raggiante, in contrasto con i colori neutri dello sfondo. Un dialogo serrato tra le due, il quale riprende l’antica stichomythia, esplica perfettamente il conflitto interiore che opprime la protagonista.
Ippolito entra in scena vestito da giocatore di tennis ed inizia a palleggiare energicamente e ripetutamente lungo la parete retrostante la panchina, posta al centro della scena. Appoggiata alla stessa parete sullo sfondo, immobile, la personificazione della ratio di Fedra, con degli occhiali a forma di occhi di gatto tipici degli anni ’50, osserva la vicenda, delusa e sconsolata. Un simile quadretto, fra i contrasti di colori e il ritmo scandito dai dritti e i rovesci di Ippolito, conferisce alla scena un piacevole senso di equilibrio e un velo di mistero.
La vasta e scura parete su cui è appoggiata Fedra consente di mettere maggiormente in luce le individualità degli attori. Il singolo e la sua individualità sono infatti i temi portanti nello spettacolo. Per contrasto, la scena sprona lo spettatore a interrogarsi su cosa si celi dietro il buio, e, identificandosi alla solitudine anche visiva dei personaggi, a chiedersi quando tornerà di nuovo la luce dopo il periodo che stiamo vivendo.
Gli abiti anni ‘50 indossati dagli attori sono adoperati per creare sovrapposizioni temporali e per sottolineare il collegamento al presente. Essi si contrappongono, sul piano drammaturgico, ad una terminologia strettamente legata all’epoca classica — sebbene vi siano rari inserimenti contemporanei o totalmente inaspettati per sdrammatizzare il colloquio. Lidi vuole evitare una totale modernizzazione della tragedia originaria, tenendo vivo un legame con l’antichità.
La trama vera e propria entra nel vivo quando l’attenzione si concentra sulla discussione tra Fedra ed Ippolito sulla panchina. Ippolito ha i modi di un adolescente sgarbato, scomposto, arrogante e dipendente dal sesso. I due si confrontano in un dialogo scomodo e straziante, durante il quale Ippolito, mortificando e rifiutando aspramente le richieste di Fedra, rivela di aver intrattenuto rapporti con la figlia di quest’ultima, la quale a sua volta aveva fatto lo stesso con Teseo. Fedra si dispera, accusa Ippolito di stupro e infine si impicca. Al suo ritorno Teseo viene a sapere dell’accaduto: la tragedia culmina con il suo acceso — e forse un po’ prolisso — monologo.
Il nucleo tematico si incentra sulla solitudine dell’uomo, simboleggiata dall’ingente porta sezionale metallica che incombe sul proscenio durante il monologo di Teseo. Tale nucleo entra subito in dialogo con il contesto contemporaneo: ognuno di noi, costretto all’internamento per mesi e ad un’estrema cautela nel contatto con gli altri, ha reagito in modi diversi, ognuno dei quali si può paragonare alle azioni ed alle vicissitudini dei personaggi della tragedia.
Teseo batte incessantemente sulla porta metallica per rientrare in patria dopo il suo lungo viaggio. Questo gesto può apparire esagerato e frustrante al primo impatto, ma dopo un’attenta riflessione esso si trasforma in un potente espediente per estendere il senso profondo e metaforico di questa tragedia al tempo presente. La strana sensazione di fastidio che quasi esaurisce lo spettatore è analoga a quella che lo ha tormentato durante l’isolamento. Sul finale, come ulteriore prova di questo legame col presente, un luminosa e bizzarra struttura a forma di parallelepipedo viene calata sopra ai personaggi, segnalandone una ormai definitiva condizione di prigionia.
Un’altra questione cui lo spettacolo si sofferma è la dicotomia che pervade l’animo di ogni personaggio. Fedra non sa se seguire la razionalità che la spinge a rimanere fedele al marito o l’istinto, il furor amoris che provoca in lei il bisogno di compiere atti adulterini con il figliastro. Anche la personalità della figlia è piuttosto ambigua e difficile da interpretare: a prima vista è un’ingenua giovinetta che sostiene la madre, ma le rivelazioni di Ippolito (e poi quando lei stessa esorta Ippolito a negare la sua colpevolezza) descrivono un’indole maliziosa.
Dalle affermazioni di Teseo emergono punti di vista contrastanti: a proposito di questo personaggio lo stesso Lidi ha proposto un paragone con Fedra, affermando che «anche qui sta allo spettatore decidere se si tratti di più personaggi o se in realtà sia una sola persona a parlare». Del resto, agli spettatori questi personaggi non appaiono così lontani. In particolare quello del dissidio tra la parte razionale e la parte irrazionale è un concetto familiare, riproposto innumerevoli volte nel corso dei secoli: dalla filosofia platonica fino ai romanzi inglesi ottocenteschi, Cime tempestose di Emily Brontë o Lo Strano Caso del Dr Jekyll e Mr Hyde di Robert L. Stevenson per citare i più famosi. Con Fedra, Leonardi Lidi è riuscito a legare saldamente antico e contemporaneo: ancora una volta il mondo classico si manifesta come una base salda e ricca di spunti, che arricchisce e mette alla prova le nostre radici di uomini e donne, dotati di logos e profondità. Un ottimo rimedio per rialzarsi in piedi dopo una crisi.
Isabella Sammarco
Fedra
testi di: Seneca, Euripide, Ovidio, Sarah Kane e Rithsos
adattamento e regia di: Leonardo Lidi
con: Alessandro Bandini, Leda Kreider, Christian La Rosa, Francesca Porrini e Maria Pilar Pérez Aspa
disegno luci: Marco Grisa
assistente alla regia: Alan Alpenfelt
produzione: LAC Lugano Arte e Cultura
visto al al LAC di Lugano_29 novembre 2020
Contributo pubblicato nell’ambito del progetto: