Prima dell’inizio della rappresentazione di “Tu es Libre” abbiamo avuto l’occasione di intervistare Francesca Garolla, l’autrice del testo.
Lei ha frequentato la facoltà di filosofia all’università di Milano, quindi non ha sempre pensato di fare la drammaturga?
Per un po’ ho studiato filosofia, poi ho frequentato l’accademia d’arte drammatica non come drammaturga, ma come regista. In realtà quando avevo appena finito il liceo il mio desiderio era di fare l’attrice. Volevo fare un sacco di cose!
Quindi inizialmente aveva piani differenti? Cosa le ha fatto cambiare idea?
Quando ho cominciato non avevo le idee chiare, l’unica cosa che sapevo era che volevo lavorare in teatro. Poi, lavorandoci, facendo adattamenti e riscrittura dei pezzi su cui lavoravo, ho iniziato a scrivere perché ho sempre amato la scrittura e non ho mai avuto difficoltà. Ma ad un certo punto le cose si sono incontrate: il teatro e la scrittura. É stata più una cosa che è venuta dall’esperienza, cioè dal fatto di lavorare in teatro, che non da una decisione che avevo preso a priori. Quindi è andata così [sorride].
Essendo collaboratrice stabile alla direzione artistica del Teatro I, deve spesso consegnare dei lavori con dei limiti e delle scadenze, solitamente con quale frequenza? Come trova l’ispirazione per scriverli?
Ma in realtà no, nel senso che io non scrivo perché noi dobbiamo fare uno spettacolo. Io scrivo quando voglio scrivere e poi porto questo spettacolo all’interno del gruppo artistico con cui lavoro; quindi viene rappresentato da Renzo [Martinelli] perché il mio progetto artistico in generale è legato a questo teatro, ma non la mia scrittura.
“Io scrivo indipendentemente, poi, quando è il momento e il testo è finito, arriva qui. Non scrivo su scadenza o su commissione. Non mi è mai capitato. Scrivo perché ho in mente una cosa e la propongo”. Dunque in cosa consiste, per l’esattezza, il suo compito?
Il mio ruolo è particolare. Si chiama “dramaturg”. È un termine poco utilizzato in Italia perché è una figura strana. Non è né un regista né un vero e proprio drammaturgo; è qualcuno che lavora sugli spettacoli, sia adattando i testi di altri autori, sia cercando di dare una linea precisa allo spettacolo, con tutti gli elementi che ci sono a disposizione. Aiuta il regista a fare in modo che la sua idea venga fuori, utilizzando testo, attori, ma anche luci e suoni. In una scena di un film, ad esempio, noi ci spaventiamo quando c’è un suono che ci fa paura. Quella stessa scena senza suono fa meno paura. La stessa cosa accade in teatro: crei una suggestione. Io faccio anche questo. Quando non ci sono testi miei, io lavoro comunque come “dramaturg” sulle altre produzioni.
Lei e Renzo Martinelli, come sappiamo, avete già collaborato. Come vi ripartite solitamente il lavoro?
Io lavoro insieme a lui dal 2005, quindi ho iniziato a lavorare con lui quando avevo 23 anni; poi, nel mio percorso artistico, come dire, è evidente… abbiamo ovviamente cambiato modo di lavorare insieme, nel senso, lavoro agli spettacoli che non hanno il mio testo come dramaturg, mentre rispetto a quello che è il mio testo lavoriamo insieme. Va detto che, come io sono autonoma nello scrivere, perché scrivo quello che voglio, come voglio, lui è autonomo nella regia, che per me è una cosa bella. Nel senso che io ho un’immaginazione che poi esprimo attraverso la scrittura; un’immaginazione diversa da chi deve creare qualcosa che poi va sulla scena.
Che tipo di immaginazione ha, dunque?
Io ho un’immaginazione facile. Quello che vedrete stasera, l’ho immaginato in un salotto, in una casa, non me lo sarei figurato qua, sul palco, che è tutta un’altra dimensione.
Però secondo me è bello, perché comunque la parola che si scrive per il teatro è fatta per essere messa in atto sulla scena, non per essere solo letta. E quindi questo mi piace molto, che poi qualcuno la interpreti o se la immagini diversamente.
In generale come si trova di solito col cast?
Ci sono esperienze diverse e cast diversi, perché noi non lavoriamo sempre con lo stesso gruppo di persone. Nel caso di “Tu es Libre” mi sono trovata benissimo. Il gruppo di lavoro ha aderito subito a tutto: al mio testo, all’idea che avevo.
In altri casi non è andata sempre così. Quando ho iniziato ero anch’io più inesperta, più fragile, più paurosa, quindi spiegare cos’hai nella testa a chi deve interpretarlo, non è così semplice. É una cosa bellissima ascoltare le cose che hai scritto in un modo che non ti eri neanche immaginato.
Ad esempio, se tu scrivi “Perché è la vita, a cui vado incontro” e l’attore lo dice “Perché è la vita a cui vado incontro”, è interessante perché in qualche modo ha modificato il significato della mia frase. Quindi in realtà le parole vivono sempre in modo diverso a seconda degli attori che le dicono.
Come definirebbe lei il suo stile di scrittura?
Ho uno stile di scrittura a tratti poetico, cosa che mi piace molto. Non è sicuramente naturalistico nel senso della parola, dialoghi, botta e risposta… però in realtà ho uno stile di scrittura che è misto, cioè che mischia i codici. Quindi, anche stasera, vi troverete davanti a dei pezzi che sembrano un racconto, ad altri che sembrano una poesia, e ad altri ancora più tradizionali come dialoghi tra papà e figlia, tra mamma e figlia, tra fidanzato e fidanzata. Questo mi serve ad aprire l’immaginario di chi guarda e sì, mi interessa questo anche perché se c’è una parola che viene detta importante è la musicalità della lingua, come suona.
Il che è un po’ diverso dal cinema, è come se avesse una sua musica, la parola. Credo che il mio stile abbia questa caratteristica.Da un punto di vista di temi e di contenuto, mi interessa un teatro che io dico essere “politico ” e altri dicono essere “filosofico”. Non intendo politico perché sono comunista, o socialista. È politico perché io tento di parlare di temi che riguardano tutti e anche la nostra società, riguardano la politica poiché politica viene da “polis”, che vuol dire città. Penso che sia qualcosa in cui siamo immersi tutti, anche se non ci interessa la politica e i partiti. Alla fine questa è la nostra società, nella quale ci sono dei temi che riguardano tutto questo. Quello di “Tu es libre” è un tema d’attualità, ma sono presenti anche argomenti più generali come la femminilità, il rapporto tra padre e figlio. Quindi riguarda me e penso possa riguardare tutta la nostra società.
Parlando appunto dei temi di “Tu es Libre”, il tema è la libertà di scelta e la protagonista decide di essere libera di scegliere la violenza. Lei cosa ne pensa, in generale, come mai una persona dovrebbe scegliere la violenza?
Allora come mai una persona dovrebbe scegliere la violenza è la domanda a cui cerco di rispondere facendo lo spettacolo. Io non dico che la sua scelta, che è una scelta potenzialmente violenta e cattiva, è una scelta di libertà, perché evidentemente uno che ti uccide non è che lo sceglie. Haner, la protagonista, è libera di scegliere, come lo siamo tutti; quindi pensare che la violenza o la cattiveria, mettiamola così, banalizzando, non sia necessariamente motivata dal fatto che sei cattivo, o che ti è successo qualcosa da piccolo, o che sei matto, ma anzi possa essere frutto di una scelta libera è abbastanza pauroso. A me fa paura, perché nella contemporaneità noi ci confrontiamo con queste cose. Chiunque ad un certo punto può decidere di prendere un camioncino e di investire delle persone. Non si capisce il vero motivo, non si può. Allora ho deciso di rappresentare sul palcoscenico questa situazione.
È possibile che una ragazza amata dai genitori, in buona salute, in un bel contesto sociale, senza alcun apparente motivo, faccia una simile scelta liberamente? Io dico di sì, poi lì mi fermo. È evidente che io condanno la parte sulla violenza, però mi chiedo: può essere una scelta libera?
Perché poi alla fine, a seconda del contesto, tutto cambia: gli assassini in tempo di pace sono assassini, gli assassini in tempo di guerra sono soldati. E quindi cambia tutto, dipende da come lo si guarda.
Come mai parlare proprio del terrorismo, dei foreign fighters?
Mi sembrava il contesto più evidente in questo momento, perché è qualcosa che noi non possiamo leggere fino in fondo, è una cultura a noi sconosciuta e che cerchiamo di commentare con dei parametri che sono nostri, occidentali. È qualcosa che negli ultimi anni ha scatenato veramente una paura molto forte, perché siamo tutti delle potenziali vittime, ovunque ci troviamo. Iniziamo ad aver paura di tutto; per esempio: sono in metro e succede qualcosa; sono in Duomo e devo stare attento; se attraverso guardo bene che non arrivi nessuno; quindi mi sembra qualcosa che urta tutti. Se io avessi parlato della rivoluzione francese non sarebbe stato troppo interessate, invece il terrorismo é qualcosa che riguarda tutti ed è una cosa che noi condanniamo e fatichiamo a pensare che possa essere una scelta libera.
Ho deciso di trattare questo argomento perché fa paura e anche perché ci sono molte persone giovani che decidono di partire di punto in bianco. Giovani che non sono immigrati, figli di genitori stranieri, non sono matti, non sono poveri e non sono tantissimi, ma esistono. E che cavolo gli succede nella testa?
È la prima volta che recita in un testo di sua creazione?
Assolutamente sì. Ho fatto delle piccole cose in precedenza, ma mute, invece in questo testo parlo. Questo testo per me era importante, perché tutti i personaggi sono legati ad Haner, tranne l’autore, che non è legato da un legame di parentela. Ha scritto il testo ma, come gli spettatori, non conosce il motivo della sua scelta, quindi lo cerca. Mi sembrava interessante che fosse la mia voce, perché è qualcosa che mi riguarda, che mi appartiene. Io non recito qualcosa che non sono io.
Io sto lì, come me; uso delle parole mie che come sentirete sono un po’ poetiche, un po’ strane e che aprono anche un po’ l’immaginario. Però fondamentalmente interpreto me, perché mi pongo questa domanda e dico: ‘che senso ha?’. Non lo trovo. E mi fa un po’ paura, semplicemente. Quindi “recito”. Diciamo che lo faccio meglio se non recito, se riesco a stare tranquilla e faccio me stessa. Perché se recito non son tanto brava.
Francesca Schifano, Silvia Babic, Flavia Silvano, Erika Corrado, Federico Ferrante, Mattia Vallesi