Con Au Bord, la drammaturga francese Claudine Galea propone una riflessione sull’impatto delle immagini partendo da una delle foto scattate nel carcere di Abu Ghraib durante gli eventi della guerra in Iraq iniziata nel marzo 2003, pubblicate su CBS News nell’aprile del 2004. Il caso è tristemente noto per essere stata una delle violazioni dei diritti umani più gravi della nostra epoca, commessa contro i detenuti sospettati di essere potenziali terroristi da parte di personale dell’Esercito degli Stati Uniti e della Central Intelligence Agency (CIA). Ma come sarebbero andate le cose se la guerra al terrorismo islamico non avesse mai avuto luogo?
20 agosto 1988. Dopo otto anni, finisce la guerra tra Iran e Iraq, con pesanti perdite da entrambe le parti. In un clima di forte demoralizzazione e malcontento generale, i dissidenti politici e gli intellettuali iracheni riescono a convincere gran parte della popolazione della realtà dei fatti: non sono altro che le vittime di un complesso gioco politico portato avanti dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica.
Dopo vari atti di resistenza civile, come scioperi, manifestazioni, marce e cortei, le proteste sfociano in un’insurrezione popolare contro il regime dittatoriale. Anticipando di una ventina d’anni i moti della primavera araba, gli oppositori riescono a cacciare i capi di Stato e a instaurare un governo musulmano e democratico che mette in atto varie riforme politiche a beneficio di tutti. Altri Paesi del mondo arabo sono ispirati a fare lo stesso. Col tempo, in queste nazioni fioriscono nuovi movimenti culturali, con l’intenzione di contrastare l’egemonia dell’Occidente.
Grazie alla rivolta araba, gli attentati dell’11 settembre 2001, la conseguente guerra al terrorismo e il carcere di Abu Ghraib non vedranno mai la luce, tuttavia non subentrerà un cambiamento abbastanza grande da modificare radicalmente il corso della storia. Gli Stati Uniti non rinunceranno a intervenire pesantemente nella politica estera. Altri ribelli e altri terroristi saranno catturati e incarcerati in prigioni, pubbliche o segrete. Altri scandali di torture e abuso di prigionieri verranno alla luce, contribuendo al successo della teoria nota con il nome “Effetto Lucifero” e diffusa da Philip Zimbardo: secondo questa teoria in un’istituzione totale come il carcere è la situazione sociale, e non una predisposizione personale, a plasmare i comportamenti degradati e violenti di chi assume un ruolo di autorità e di grande potere su altre persone. Anche in questa ucronia, la possibilità dell’esistenza di un mondo privo di ingiustizie e di violazioni dei diritti umani è ancora lontana.
Gaia Caruso
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico LACritica