di Macelleria Ettore
testo di Carmen Giordano
visto al Piccolo Teatro Radio di Meda_16 gennaio 2015
nell’ambito del Premio Sonia Bonacina
Tre monologhi, tre storie di donne, tre prove d’attrice tutte al femminile. Gli spettacoli finalisti al premio Sonia Bonacina di quest’anno hanno portato in scena testimonianze significative del teatro di oggi. Stanza di Orlando della compagnia Macelleria Ettore offre un caso particolarmente interessante: perché è il risultato equilibrato del lavoro congiunto di tre donne che, su piani diversi (Carmen Giordano per scrittura e regia, Maura Pettorruso per l’interpretazione e Maria Paola Di Francesco per costumi e scenografia), si avvicinano alla poliedrica personalità di Virginia Woolf sperimentando i linguaggi della scena.
Punto di partenza del lavoro è un’approfondita ricerca drammaturgica, fulcro creativo intorno al quale prende forma uno spettacolo complesso ma non per questo meno coinvolgente. Proprio come avviene nella scrittura di Virginia Woolf, il testo è un flusso di coscienza, un monologo interiore che attraversa le riflessioni autobiografiche di una scrittrice e il suo ozio quotidiano: “Il problema non è scrivere ma asciugare, rinunciare”, confida. Il fluire delle parole è un magma di pensieri che si interroga sulla scrittura “al femminile” riflettendo le rivendicazioni, care alla Woolf, di un ruolo nuovo per la donna e indagando le più profonde sfumature della natura umana (essere una donna che pensa da uomo o un uomo che pensa da donna?). La drammaturgia sembra essere, a tratti, un dialogo interiore tra Virginia Woolf e Orlando, tra l’autrice e il suo personaggio letterario, tra uomo e donna.
La scrittura assorbe così, attualizzandoli, spunti provenienti da Orlando e da Una stanza tutta per sé, restituendoli a un testo frammentario e complesso ma coerente, valorizzato dall’interpretazione a tutto tondo della Pettorruso. Ironica, sensuale, giocosa e allo stesso tempo drammatica, l’attrice dà corpo alla sfaccettata complessità dei diversi “io” che la abitano. In bilico tra più identità assume movenze da burattino, giocando coi suoi pensieri e muovendosi meccanicamente dietro alla sua maschera di trucco. Lo spazio scenico, disegnato da Maria Paola Di Francesco, ha un ruolo rilevante quanto il testo. Un’installazione realizzata con pochi elementi che acquisiscono un elevato valore simbolico. I pezzi di una vecchia bicicletta, la struttura di un ombrellone, dieci cavi elastici e dieci candelabri, uno sgabello, un lampadario e uno specchio compongono una scenografia emozionale, coacervo di segni con cui l’attrice entra in relazione di continuo fino a uscirne e guardarla da lontano. Stanza e gabbia, voliera e giostra di pensieri, sembra essere rappresentazione concreta di quella testa che per la Woolf è allo stesso tempo arma e stretta prigione. Il groviglio di parole si interseca così – fisicamente – con la rete di corde che girano, si intrecciano, si avviluppano per poi liberarsi. E lo spettatore può scegliere da quale ordito lasciarsi ammaliare: chi dal testo, chi dalla voce, chi dai movimenti di una donna-burattino prigioniera della macchina infernale dei propri pensieri.
Francesca Serrazanetti