Rumore di piedi trascinati sul pavimento, una debole musica malinconica, un corpo femminile che, nella penombra, inizia dei lenti movimenti e due figure maschili che restano in attesa: così siamo introdotti nella coinvolgente atmosfera spirituale che pian piano prende forma sul palco dell’Elfo Puccini.
I corpi, prima immobili, danno vita a movimenti sinuosi; diventano scattanti, rallentano, poi ancora riprendono più frenetici, fino ad apparire posseduti dal movimento stesso, che li conduce in un vortice d’energia. Il loro respiro si fa più ansimante e sembra sgorgare dalla più profonda intimità. Si accasciano e si rialzano, talvolta in comunione, quasi fossero un corpo solo, talvolta in disaccordo. Simulano un vero e proprio scontro, una ‘battaglia a tre’ o ‘a due contro uno’; non casuale è infatti il richiamo alle arti marziali: alla loro gestualità e al perfetto equilibrio tra esplosione di forza ed estrema consapevolezza.
Si tratta soprattutto di una lotta interiore, come suggerisce il repentino capovolgimento espressivo: dall’armonia di un corpo che danza come un tutt’uno, preso dentro a vorticose e morbide spirali, alla disomogeneità e segmentazione delle forme.
Questo duello corporeo si riflette nel gioco scenico tra momenti di piena oscurità e altri in cui resistono spiragli di luce, o nei contrastanti sentimenti provocati nello spettatore, che, da momenti di quiete, si trova rapito dalla frenesia del combattimento. I gesti rivelano un tentativo instancabile di stringere qualcosa di tanto desiderato ma, in ultima istanza, impossibile da raggiungere. Ogni parte del corpo, sino ai polsi e alle dita, si muove carica di tensione per afferrare, o meglio ancora “possedere”, una porzione dello spazio circostante; ogni passo arriva a scontrarsi con questo spazio, perdendo la sua stabilità. Un’impossibilità di tenuta supera la volontà di resistere; è la stessa precarietà di una “labile pangea”, come suggerisce il titolo della performance, e come quella di uno dei tre corpi che, a quattro zampe, tenta di reggersi solidamente sulle sue ginocchia, che tuttavia cedono. È uno scontro intimo tra potenza e fragilità umana che si mostra attraverso questa danza.
Verso il termine della performance i piedi sondano con forza il terreno a ritmo di musica. La musica, prima malinconica, diventa ora quasi un boato. Le mani continuano a tastare l’aria con sempre maggior frenesia, alla ricerca di quel qualcosa che nuovamente fugge, come fuggono i suoni e le luci, che ora sfumano pian piano. Ed è nuovamente silenzio.

Laura Rodella


Labile Pangea
coreografia Manfredi Perego
interpreti Lucas Delfino, Maxime Freixas, Chiara Montalbani
musica Paolo Codognola
luci Giovanni Garbo
costumi Emanuele Serrecchia
produzione TIR Danza / MP.ideograms
in collaborazione con il Centro Nazionale di Produzione della danza Scenario Pubblico/CZD, Fondazione Teatro Due di Parma
con il sostegno di Fondo Regionale per la Danza Emilia-Romagna, Anticorpi – Rete di Festival Rassegne e Residenze Creative dell’Emilia Romagna, Fondazione i Teatri di Reggio Emilia, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
Progetto vincitore Premio GD’A Giovane Danza d’Autore dell’Emilia Romagna 2017

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView