A leggere la cronaca politica delle ultime settimane, pare di trovarsi davanti al film raggelante di un erede di Buñuel: l’Europa, comodamente seduta a tavola, discute se far entrare quegli esseri umani che battono alle finestre con insistenza. “Accoglierli o respingerli?”: questo si domandano i commensali, mentre viene servita l’ultima portata.

Il tema – tornato drammaticamente al centro del dibattito internazionale – interessa da tempo la compagnia VicoQuartoMazzini: in Little Europa (2016) Michele Altamura e Gabriele Paolocà immaginavano il nostro mondo occidentale come un bambino deforme e sofferente destinato alla morte. Oggi tornano sulla questione, domandandosi se si viva poi così bene in quel salotto dove metà del mondo supplica di entrare. Altamura e Paolocà, oggi come allora, non mostrano alcun interesse per la cronaca e per il realismo; e il titolo del nuovo lavoro, Vieni su Marte, è in questo senso una plateale dichiarazione di intenti. VicoQuartoMazzini attinge alla letteratura fantascientifica (su tutti: Bradbury) senza però vincolarsi agli schemi di genere: è soprattutto la capacità di raccontare mondi al contrario – e attraverso quelli, comprendere il nostro – a interessare i due registi.

Il punto di partenza dell’indagine, del resto, è assurdamente reale: la piattaforma “Mars one” ad opera del ricercatore olandese Bas Lansdorp, ha lanciato nel 2012 una campagna candidature per la prima colonia su Marte, e il sito da allora è stato letteralmente invaso di video-presentazioni (provate a digitare mars-one.com per credere!).
Quei volti veri, proiettati sul palco, si riverberano sulle storie di invenzione che compongono la drammaturgia dei VicoQuartoMazzini, come a sottolinearne la veridicità potenziale. La selezione dei video, in questo senso, non è causale: lo spettatore è portato a guardare con distaccata ironia quei personaggi bizzarri, ma può accadere d’improvviso che una parola o un volto tocchi un nervo scoperto, facendo scattare l’identificazione. Annoiati, insoddisfatti, infelici, nessuno degli intervistati vuole restare dov’è. Mentre metà del mondo bussa alle finestre, insomma, l’altra metà libererebbe volentieri la stanza. Per andare dove? Ovunque, ma il più lontano possibile.

Dagli Uccelli di Aristofane, passando per Erewhon di Samuel Butler, fino alle allucinate galassie di Philip Dick, il segreto sta nel sognare posti che siano irraggiungibili. Il desiderio di questo altrove – allo stesso tempo concretissimo e inaccessibile – anima i quattro quadri interpretati tutti dagli stessi Altamura e Paolocà: c’è chi sta per partire e deve dire addio alla terra o alle persone amate; chi si è organizzato per lasciare il pianeta terra almeno da morto; chi non ha soldi sufficienti per prendere il largo e sfuggire alle miserie di ogni giorno. Le quattro vicende sono caratterizzate da altrettanti dialetti, come a tracciare una mappa dell’insoddisfazione che non risparmia nessuna parte d’Italia, dal Veneto alla Puglia: le storie si nutrono della dimensione locale e ne traggono credibilità, ma l’accostamento con altre vite analoghe le proietta in una dimensione universale.

La scelta del linguaggio scenico è la consapevole presa di un rischio da parte della compagnia: comico e tragico si alternano di continuo, e il registro attorale è così marcato da sfiorare l’espressionismo – in questa direzione anche i costumi curati da Lilian Indraccolo. I due autori-attori perseguono così da un lato la volontà di evitare ogni rappresentazione ‘verista’ e quotidiana; dall’altro non rinunciano a condurre lo spettatore all’empatia e al rispecchiamento. L’equilibrio di queste due dimensioni è una partita da giocare senza sconti. Ho avuto occasione, nell’ambito di un progetto sul monitoraggio delle residenze (bando SIAE S’Illumina)[1], di seguire la creazione in diverse fasi: nella prima apertura a Sansepolcro (Kilowatt), e poi nella residenza a Bagnone (Fuori Luogo) fino al debutto torinese (Festival delle Colline). Nella mia osservazione partecipata, ho visto scomparire progressivamente eccessi e caricature: sul palco possiamo ora riconoscere un’umanità derelitta e disperata che, ahinoi, ci assomiglia più di quanto vorremmo.

Nessun motivo per restare sulla terra, allora? Pochi, a quanto sembra. Ne rintraccia qualcuno un umanissimo marziano, che, comparendo a varie riprese sulla scena, tenta di venire a capo degli enigmi dell’animo terrestre, in dialettica con un beffardo terapeuta. Scopriremo, ascoltandoli, quanto di noi riveli quel dialogo filosofico-interstellare. “Niente di umano mi è alieno” scrisse, in modo non troppo dissimile, un noto commediografo di qualche secolo fa.

Maddalena Giovannelli

[1] Il progetto è stato presentato da CapoTrave/Kilowatt in partnership con Stratagemmi e Altre Velocità.

Vieni su Marte
di VicoQuartoMazzini
regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà
interpretato da Michele Altamura e Gabriele Paolocà
drammaturgia: Gabriele Paolocà
scene: Alessandro Ratti
costumi: Lilian Indraccolo
produzione: VicoQuartoMazzini, Gli Scarti

Visto a Casa Teatro Ragazzi, Torino, nell’ambito del Festival delle Colline Torinesi Torino Creazione Contemporanea_6-7 giugno 2018