Off Kilter, fuori di testa, è una delle performance che ha inaugurato il Festival del silenzio alla Fabbrica del Vapore. Unico interprete è Ramesh Meyyappan, artista singaporiano oggi di base a Glasgow, il quale vanta un curriculum internazionale e una forte matrice identitaria per il pubblico non udente. Ramesh infatti, con il suo percorso, ha superato i limiti inizialmente imposti dalla sua condizione di artista sordo e ha trasformato in un’amplificazione comunicativa il doppio registro sonoro e segnate che caratterizza il suo lavoro.

In scena c’è la routine di Joe Kilter, scandita in modo sfasato da un orologio senza tempo, le cui lancette rimangono immobili o scorrono troppo veloci. La scenografia, inizialmente, descrive una quotidianità ordinata e rassicurante, in cui ogni elemento ha una funzione precisa e una collocazione definita. Una ricerca all’essenziale che Meyyappan, al termine della performance, descrive come “un lungo processo che ci ha portato a ridurre tutto al minimo per concentrare il significato”. Durante la narrazione, gli oggetti iniziano però a comportarsi con irreale autonomia, tanto da rompere il rigore logico di Joe o, forse, a fare da specchio una sorta di instabilità interiore. Tutto ciò che occupa la scena perde via via il proprio asse e, sfidando la gravità, assume un’inclinazione acuta che va a compromettere il baricentro degli oggetti e di Joe stesso, in un destabilizzante squilibrio fisico e metaforico. E qui vengono fuori le grandi abilità gestuali di Meyyappan, il cui teatro visivo e fisico mette a frutto le tecniche mimiche e illusionistiche apprese nel suo lungo percorso artistico.

Particolarmente interessante è lo studio fatto sulla trama sonora. Ramesh Meyyappan è infatti nativo segnante ma da anni lavora con un collaboratore udente. Da quest’unione artistica è nato uno scambio profondo di competenze con il risultato di una performance in cui la musica e i rumori sottolineano gli stati d’animo, completando la fruizione senza comprometterla. Come racconta lo stesso Ramesh, i punti chiave in cui la musica ha un ruolo narrativo sono stati decisi insieme e vengono sottolineati sul palco dalla sua grande abilità corporea. Emblematica è ad esempio la scena iniziale delle sveglie trillanti, il cui suono stordisce il pubblico udente mentre la loro azione disturbante è tradotta per i non udenti in una vibrazione crescente del corpo di Joe. Così come l’arrivo della busta che segna la definitiva perdita di equilibrio del protagonista: il gioco di luci e la gestualità carica di Joe relegano a semplice sottolineatura sensoriale il violento tonfo e la musica grave che accompagnano il momento topico.

I due codici linguistici si intersecano e si integrano, senza sostituirsi, per tutta la durata dello spettacolo. Il risultato è una performance perfettamente fruibile in cui si supera la dicotomia tra lingua verbale e lingua dei segni. Sembra quindi che l’obiettivo di accessibilità, cui aspirava la direttrice artistica Rita Mazza, sia stato raggiunto. Tanto che al termine, il pubblico della matinée – composto prevalentemente da giovani studenti e giornalisti – ha spontaneamente integrato un sonoro battito di mani a un silenzioso applauso segnante.

Michaela Molinari