Al centro di una sala, sul pavimento, ci sono alcune pedine. Le sagome sono collocate sopra una cartina del comune di Pergine Valsugana, su cui spiccano anche il il castello, il fiume Fersina, gli alberi, le montagne e l’ex Istituto Psichiatrico. Ma non è una mappa come tutte le altre: i puntini segnati sulla carta infatti si estendono fino ad arrivare alle pareti della sala, e si uniscono idealmente a tante altre piccole mappe. Sono tracce lasciate dai partecipanti al progetto Mnemosyne, che hanno voluto raccontare il ‘loro’ luogo, contribuendo così a un processo di rinarrazione collettiva.
Il lavoro, curato da Effetto Larsen, prende il nome dalla divinità greca della memoria, ed è stato definito dal regista Matteo Lanfranchi come site-sensitive, cioè creato in ascolto e in relazione al luogo per cui è stato ideato. Il progetto Menmosyne è stato così articolato in due fasi distinte: la prima, Mnemo Lab, ha visto l’installazione di una postazione-laboratorio in piazza Municipio, in cui i partecipanti hanno lasciato un ricordo legato a un luogo per loro particolarmente significativo, sotto forma di disegno o di pensiero. La seconda, invece, si è tradotta in una performance-installazione all’interno della quale gli artisti hanno organizzato e rielaborato i materiali raccolti durante il laboratorio. In questo modo gli spettatori non hanno seguito i punti cardinali come accade con una qualsiasi mappa, ma si sono spostati secondo un altro tipo di orientamento: quello delle storie.
Del resto – ricorda una frase del matematico e filosofo Alfred Korzybski, che troviamo impressa sul pavimento all’ingresso della sala – “La mappa non è il territorio. Il nome non è la cosa designata”. Così, andando oltre le semplificazioni, Mnemosyne ha fornito l’occasione per ripensare il genius loci, ovvero il senso intimo e profondo di un luogo che spesso si discosta dalle sue fattezze materiali, per scoprirne un significato ben più profondo. Senza la pretesa di ricostruire le storie lasciate dagli individui partecipanti, la compagnia si è limitata a restituire il materiale di Mnemo Lab, raccontandolo.
Il progetto di narrazione ha così preso vita su più livelli paralleli. Da un lato, quello dei cittadini che hanno lasciato la loro storia-luogo. Dall’altro, il lavoro di interpretazione degli artisti che hanno cercato di ricollocare le storie proprio dove sono nate. E, infine, l’attivazione dell’immaginario dello spettatore che ha attraversato i luoghi di riscrittura e di rinarrazione. Tali azioni, separate ma interdipendenti, hanno generato una nuova chiave di interpretazione dell’oggetto-mappa e del codice con il quale essa viene redatta e letta. La carta topografica ‘esplode’ lasciando uscire dai propri confini le esperienze umane che caratterizzano il territorio e tali esperienze, in processo inverso, tornano poi ad appartenere ai luoghi che le hanno generate. Così, un piccolo intrico di vie del centro si scopre essere la scena che ha accolto e favorito la nascita di molte storie d’amore, l’Ospedale Psichiatrico si anima dei ricordi di chi vi è stato ricoverato o di chi l’ha temuto da lontano, la strada che porta fuori dalla valle apre una proiezione su altre città: Trento, Rovereto, Bologna, Salisburgo. Tramite necessario e indispensabile, l’arte diventa così una lente microscopica per attraversare i luoghi seguendo le tracce lasciate da chi li ha vissuti. La chiave di ciascun luogo diventa allora è quella del ricordo come scoperta: un primo passo da compiere per tendere verso puntini sulla carta che ancora attendono di essere disegnati. Oltre e fuori dalla mappa.
Chiara Marsilli – Carmen Pedullà
Mnemosyne
Effetto Larsen
visto al_Festival Pergine Spettacolo Aperto_7 luglio 2016